Oleg Mandić ai giovani trentini: “Non odiate, l’odio porta a nuove Auschwitz”
Oleg Mandić, “L’ultimo bambino di Auschwitz”, oggi è un uomo di 87 lucidissimi anni che si è liberato dalle catene dell’odio perchè esso – dice ai giovani studenti trentini che hanno riempito oggi il Teatro Sociale per ascoltarlo prima di intraprendere, molti di loro fra una decina di giorni, il “viaggio della memoria” – “porta solo a nuove Auschwitz”.
Sul suo braccio sinistro il testimone croato Mandić porta ancora tatuato, dal 12 luglio 1944 quando varcò assieme alla sua mamma i cancelli del campo di sterminio, il numero 189488. Gli istituti scolastici della città di Trento, grazie a diverse Associazioni ed Enti Pubblici, hanno voluto offrire ai propri studenti la sua testimonianza di ex prigioniero nei campi di sterminio nazisti come una straordinaria lezione di civiltà e di cittadinanza consapevole, un racconto sull’orrore che ai ragazzi di oggi può indubbiamente apparire stupefacente e “incredibile”, mettendo a confronto le loro emozioni con l’indicibile al quale “il testimone” Oleg Mandić sta dando voce da oltre sessant’anni.
Una “lezione”, quella di Mandić, che va dritta al cuore del problema, ovvero al rapporto – richiamato dal direttore della fondazione Museo Storico Giuseppe Ferrandi – tra storia e memoria. Conoscere la storia è necessario, ma la storia ha bisogno della testimonianza e della memoria. Ecco allora che quando anche la voce degli ultimi testimoni viventi, come Oleg Mandić e l’italiana Liliana Segre, si sarà spenta, sarà importante che ognuno di noi, ognuno di quei ragazzi che oggi erano al Teatro Sociale e quelli, in particolare, che sono saliti e che saliranno sul Treno della Memoria, diventi a propria volta un testimone.
Il messaggio più forte che Oleg Mandić ha lasciato ai giovani trentini, più forte ancora degli episodi più duri da raccontare di quei terribili mesi trascorsi al campo di Auschwitz, viene però dalla profonda fatica umana vissuta da quest’uomo dopo essere uscito, ultimo bambino prigioniero, dall’inferno di Auschwitz. Un trauma che si è rifiutato per ben dieci anni di affrontare e raccontare, fino al 1955 quando comprese, scrivendo il suo primo articolo, che era un trauma che non apparteneva solamente alla sua vita ma all’intera umanità e che raccontare il Male era un obbligo morale.