Alpicultura, ritratto dell’identità alpina dall’800 ai giorni nostri

Redazione14/01/20204min
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74 opere di pittura e scultura, provenienti da collezioni private, che indagano in diversa misura il paesaggio, la cultura e le tradizioni alpine. È stata inaugurata a Palazzo Trentini la mostra “Alpicultura, rappresentazione dell’identità alpina nell’arte trentina dalla fine dell’800 ai giorni nostri”.
Pittori e scultori come Umberto Moggioli, Fortunato Depero, Eugenio Prati, Dario e Remo Wolf, Bartolomeo Bezzi, Tullio Garbari, Luigi Senesi, Gino Pancheri, Bruno Colorio, Gino Castelli, Carlo Sartori, Riccardo Schweizer, Eraldo Fozzer solo per citare alcuni dei 56 artisti rappresentati. Le opere, raccolte dopo un lungo e accurato lavoro di ricerca, sono in taluni casi inedite e condivise per la prima volta con il grande pubblico, grazie alla generosità dei collezionisti, come il Gruppo del Brenta di Luigi Ratini o il trittico dell’inaugurazione della Funivia di Fai della Paganella di Davide Campestrini, infrastruttura collaudata da Umberto Nobile, oppure accora il Tramonto sulla Zillertal di Giulio Cesare Prati.
Altri lavori sono stati strappati all’oblio e restituiti alla comunità, come i due busti in gesso di Fozzer “scoperti per caso” dallo stesso Parolini e da Riccardo Decarli nella Biblioteca della Sat e restaurati appositamente per questa mostra grazie alla collaborazione con la Soprintendenza di Trento, due opere dedicate dal noto scultore trentino alla memoria di Adriano Dallago, morto sulla Marmolada nel 1938.
Alcuni profili alpini, grazie alla collaborazione con gli esperti di montagna della Sat, hanno trovato finalmente una corrispondenza “geografica”, come il Gruppo del Sassolungo visto dal Passo Pordoi di Moggioli, fino ad oggi “senza titolo”, oppure il lago di Molveno di Angelico Dallabrida, oppure il dipinto dei laghi dei Piani nelle Dolomiti di Sesto di Augusto Tommasini, che erroneamente si pensava rappresentasse il lago di Braies.
Ma accanto alle montagne e ai paesaggi alpini, ci sono opere che, con diverse tecniche e soggetti, si ispirano al lavoro in montagna. Come i ritratti delle guide alpine di Gianfranco Campestrini, di Cesarina Seppi e di Remo Wolf. Non mancano le feste in campagna fissate nell’omonimo dipinto di Carlo Sartori o le tradizioni del Carnevale mocheno interpretate da Pietro Verdini nel suo originalissimo stile.
Come sineddochi, il fagotto iperrealista di Gianluigi Rocca, il tronco d’albero di Paolo Vallorz, le pareti rocciose di Bruno Colorio, ci trasportano immediatamente in un rifugio alpino, ai bordi di un sentiero o in un bosco ferito.
Accompagna la rassegna un catalogo a colori, completo delle foto di tutte le opere esposte e con i contributi di Massimo Parolini e i due saggi di Giovanni Kezich e Roberto Pancheri che riflettono sull’idea di alpinità moderna e sul concetto di sublime, in cui le Alpi finiscono per rappresentare l’orrido per diventare protagoniste.
La mostra è visitabile a Palazzo Trentini fino al 7 febbraio prossimo. Dal lunedì al venerdì e la mattina del sabato.

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