Relazioni libere da violenza: il cambiamento passa anche attraverso gli uomini

Un quarantenne che conduce una vita all’apparenza “normale”, un uomo nella maggioranza dei casi italiano, che lavora, e che commette violenza fisica e psicologica soprattutto sulla propria partner o ex-partner, spesso in presenza dei figli. Questa la fotografia dell’autore di violenze e maltrattamenti che si rivolge ad un centro antiviolenza della rete nazionale Relive per chiedere aiuto ed iniziare un percorso di cambiamento, quale emerge dai dati presentati stamani a Trento in anteprima nel corso del I° convegno nazionale sulla materia, apertosi con i saluti dell’assessora provinciale alle pari opportunità Sara Ferrari, dell’assessore alle politiche sociali Luca Zeni, della presidente di Relive Alesandra Paucz e della dottoressa Paola Bianchi in rappresentanza del Dipartimento per le pari opportunità nazionale. Gli uomini che si sono rivolti a uno dei 21 centri della rete nel triennio 2015-2017 sono circa un migliaio. Nella maggioranza dei casi non presentano particolari problemi di dipendenze o mentali (anche se in quasi il 50% dei casi hanno subito – o assistito a – una violenza da piccoli). I titoli di studio e la condizione sociale sono “trasversali” (il 42% ha un diploma di scuola media superiore). Il 68% degli uomini ha figli. Nella quasi metà dei casi si rivolgono ad un centro antiviolenza “spontaneamente”, quindi in assenza di un obbligo di legge. La maggior parte di essi vive nell’Italia del Centro-Nord, dove sono collocati la maggior parte dei centri antiviolenza. Il Trentino è stato uno dei primi territori in Italia a credere in questo approccio innovativo, che si fa carico – anche – di chi è incline a commettere maltrattamenti, intraprendendo assieme a lui un percorso di recupero e di “fuoriuscita” dalla violenza, mediamente di 6 mesi-1 anno. Un percorso che porta i suoi frutti, considerato che nel giro già di pochi mesi le violenze quasi sempre cessano (condizione, questa, indispensabile per il prosieguo del lavoro sul piano psicologico). In Trentino dal 2012 al 2017 sono stati presi in carico 109 uomini, il 66% italiani, il 35% stranieri. Le associazioni che aderiscono alla rete sono Fondazione Famiglia Materna di Rovereto e Alfid di Trento, ma il “segreto” delle buone prassi sviluppate sul territorio è la forte collaborazione che si è creata fra tutti gli attori, pubblici e privati, istituzionali e non, ad ogni livello. Il Trentino fra l’altro ha una delle percentuali più alte in Italia di applicazione virtuosa dello strumento dell’ammonimento da parte del questore, previsto dal nuovo codice nazionale ma ancora sottoutilizzato nel resto del Paese, che spesso apre la strada proprio ad un percorso di recupero.