Qualità e territorio nel piatto, la “visione” di chef Brunel. Con un appello alla Provincia
“La ristorazione locale deve cambiare e puntare sulla valorizzazione dei prodotti del territorio”. Ma “devono essere di qualità certificata, magari, da un Consorzio indipendente”. E “ci deve essere una ‘regia’ di peso: la Provincia”. Come? “Attraverso Trentino Marketing, che deve incentivare un marchio di qualità tutta trentina, come già succede in Alto Adige/Suedtirol”. Investendo capitali e distribuendoli sugli stakeholder del territorio (albergatori e ristoratori, in primis) che sono la vetrina, i primi ambasciatori della promozione turistica e motore socio-economico della nostra terra. L’appello parte da Linfano di Arco, a due passi dal lago di Garda trentino. Dal suo ristorante gourmet, lo chef stellato Peter Brunel, fassano d’origine, classe 1975, premiato anche nel 2024 con l’ambita stella Michelin e Miglior Carta Vini 2024 Gambero Rosso, nel luglio 2019 ha dato vita a un nuovo progetto, insieme a Lorenzo Risatti, imprenditore appassionato e cultore della buona cucina. Una sfida lanciata per dare lustro ad una terra, il “suo” Trentino, ricca di mille risorse ma bisognosa di nuova energia. “Quando sono arrivato qui, all’inizio tutti gufavano, c’erano le scommesse che dicevano, vedrai durerà sei mesi, va a gambe all’aria subito… io invece – come canta il Blasco – sono ancora qui, da cinque anni e mezzo, superando indenne anche la pandemia”. Chef Brunel conta su uno team di 17 collaboratori e ne cura ogni dettaglio: “Io sono dentro e fuori dalla cucina, a spiegare la filosofia del mio piatto”. Il ristorante gourmet dell’istrionico chef trentino in poco tempo è balzato su tutte le riviste e le guide di settore con punteggi altissimi: “Siamo ormai diventati un punto di riferimento per la ristorazione locale, ma anche per quella nazionale”, ammette chef Brunel, con una punta d’orgoglio, mentre spiega a La Busa la sua proposta/stimolo che si fonda su una serie di elementi imprescindibili.
Partiamo dalla materia prima.
“Mangiare non è un atto fine a se stesso, deve essere un’esperienza, che racconta il territorio e la filosofia dello chef, l’esperienza deve essere la più profonda e intensa possibile – spiega chef Brunel – sono anni che mi batto sull’aspetto della qualità che è anche sinonimo di prezzo. Non si può offrire prosecco nella terra che produce TrentoDoc. Oppure portare in tavola carne salada di altissima qualità e mettergli accanto, sul tavolo, grissini commerciali o una bottiglia di olio acquistato in altre zone d’Italia, magari un gran prodotto, ma che non rappresenta il nostro territorio. A volte, vedo troppa superficialità”.
Come tutte le aziende, però, anche il ristoratore e l’albergatore devono pensare ad arrivare a fine mese e coprire tutte le spese, pagare il personale, le bollette della luce e del gas… E allora il discorso della qualità della materia prima rischia di passare in secondo piano.
“In passato – risponde chef Brunel – avevo proposto alla Provincia un’operazione per incentivare i prodotti del territorio, creando una lista di aziende di qualità, selezionate da una commissione indipendente, per far nascere un Consorzio, su precisi protocolli di qualità: dal pane alla carne, dal vino all’olio, dal formaggi alle verdure, e così via…”, così “il ristoratore/albergatore va ad acquistare questi prodotti di qualità, riconoscibili da un marchio, come succede già in Alto Adige/Suedtirol”.
Qui entra in campo la Provincia: “Se vogliamo avere qualità, dobbiamo pagarla, ma se la Provincia viene incontro ai ristoratori possiamo alzare tutti insieme la qualità, trasmettere un’immagine del territorio e creare un equilibrio nel sistema economico”. Equilibrio, sottolinea chef Brunel, che “trovi anche nel piatto, perché puoi proporre un piatto di carne salada eccellente, con un contorno di verdure del periodo, lavorando sulla composizione estetica del piatto”. Per chef Brunel, “le strategie per esaltare i prodotti del territorio ci sono sono e son molteplici, bisogna saper applicare le giuste proporzioni matematiche, anche nella resa visiva il piatto diventa più accattivante”.
L’idea di creare un Consorzio di qualità dei prodotti del Trentino continua a vorticare nella testa di chef Brunel.
“Alla Provincia io dico: invece che spendere 15 milioni di rifare strade e rotatorie, investi 10 milioni sulle strade e cinque sul sistema ristorazione/hotellerie, sulla formazione dei ristoratori e dei lavoratori – sottolinea – io tocco sempre lo stesso tasto: il discorso economico è un aspetto fondamentale per il ristoratore, ma anche per chiunque ha un’attività in proprio. Il ristoratore capisce la qualità del prodotto, ma ci deve essere un aiuto concreto della Provincia. Soldi, non tavole rotonde senza sbocchi. A fine mese, il ristoratore che ha acquistato prodotti di qualità del Trentino, invia fattura al suo commercialista e una copia anche in Provincia. Quest’ultima, ti restituisce il 30% della spesa. Solo così puoi incentivare e premiare chi fa qualità e promozione del territorio”. Per chef Brunel non sarebbe difficile. Già ora, “Trentino Marketing finanzia gli uffici territoriali di promozione turistica, come Garda Dolomiti, ed è giusto, ma – sottolinea – TM dovrebbe investire anche sulle aziende locali, come alberghi e ristoranti. Perché, senza nulla togliere ad altre realtà, l’hotellerie è il motore trainante del nostro amato Trentino”. Chef Brunel insiste su un altro concetto: “La Provincia deve aprire un tavolo di concertazione con tutti gli attori, per dare un input forte ed essere regista, come è successo in Alto Adige, per poter portare avanti questa idea di valorizzazione dei prodotti del territorio”.
Il Trentino, infatti, come tante altre realtà italiane, vanta una storia plurisecolare. Declinata in cucina, potrebbe essere la chiave di volta del successo: i feudi del Trentino. “Dobbiamo suddividere il Trentino eno-gastronomico nei vari feudi, Alto Garda e Ledro, val di Fassa, val di Fiemme, valli Giudicarie e così via.. così non crei competizione fra chef e cucine del territorio, ma proponi un’immagine più organica di tutte le specialità culinarie, valorizzandole tutte. In ogni territorio – sottolinea – c’è un’identità precisa, con elementi accattivanti, di storia, di cucina che possono generare interesse. Ma, ripeto, serve una regia”.
Altro elemento fondamentale: lo storytelling.
“Premessa – dice chef Brunel – l’argomento è difficile da trattare. Io racconto ogni mio piatto, l’ingrediente che fa la differenza, diventa l’elemento accattivante, ma questo format non è replicare sui grandi numeri. Allora devi lavorare sulla formazione dei collaboratori”. Perché siano in grado di raccontare l’ingrediente, il piatto o il vino. Ma anche qui, per chef Brunel c’è bisogno di un cambio di mentalità. “Sono contrario alle giornate di formazione full immersion, dieci giornate all’anno, con esamino finale – spiega – così facendo crei dinamiche scorrette, io invece prendo ad esempio la scuola giapponese. Questa fa cultura, investe su un concetto diverso di formazione, non crea competizione”.
Terminando la chiacchierata, affrontiamo l’aspetto “social” della cucina.
“Tempo fa è venuto Bruno Vespa a cena nel mio ristorante – racconta – ma non ho fatto selfie con il superospite, post su Facebook o altro. Per me questi strumenti sono utili, ma al post su Facebook preferisco sempre la relazione umana. Il mio smartphone è sempre in silenzioso, appoggiato rovescio sul tavolo, se mi volete parlare mi trovate al lavoro. Io sui miei profili social non metto mai i miei piatti, ma solo le mie passioni, soprattutto la musica”.
Sulle trasmissioni televisive, come quelle di chef Borghese? “Ben vengano, Alessandro Borghese, che può piacere o non piacere, crea indotto, interesse, perciò è tutto positivo, nell’ottica di generare interesse per una certa zona. Con il suo format, chef Borghese, che è un mio caro amico, ha portato maggiore attenzione anche in cucina, perché è uno stimolo per tutta la brigata, dai piccoli dettagli in cucina allo staff di sala”.