Omicidio di Riva: Rozza resta in ospedale, la difesa chiede la perizia psichiatrica
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Oggi, 3 marzo, in tribunale a Rovereto, udienza di convalida del fermo di Francesca Rozza, la donna di 62 anni, oggi ricoverata nel reparto di psichiatria del Santa Chiara di Trento, accusata di aver ucciso l’anziana madre, Maria Skvor, all’interno dell’appartamento sito in via Deledda di Riva del Garda (leggi). L’avvocato difensore, Nicola Canestrini, accompagnato dal collega Giovanni Guarini, ha ribadito alla procura e al giudice che la donna è affetta da una grave patologia psichiatrica e abbisogna di cure mediche: “La presenza di una patologia psichiatrica emerge anche dalla documentazione medica depositata agli atti”. Queste premesse hanno convinto i difensori di Francesca Rozza ad avanzare richiesta al giudice di incidente probatorio per “accertare l’imputabilità o meno della mia assistita e anche la sua capacità di seguire il processo”, spiega l’avvocato Nicola Canestrini a La Busa. Vista l’urgenza, a breve sarà fissata l’udienza per il conferimento di incarico ai periti. “Stamattina ci siamo opposti, sia alla convalida del fermo, sia alla misura cautelare richiesta, per il semplice motivo che non c’è alcun pericoloso di fuga, perché una signora che chiama i carabinieri e li aspetta a casa sicuramente non pensa alla fuga”, illustra l’avvocato Nicola Canestrini.
“Sulla misura cautelare ci siamo opposti perché non ci sono esigenze cautelari, non ci può essere reiterazione del reato, né inquinamento probatorio, né tantomeno altre esigenze, in quanto abbiamo chiesto che venisse disposta la misura di sicurezza provvisoria, che da un punto di vista giuridico cambia molto, mentre dal punto di vista pratico non cambia niente, perché resterebbe detenuta, ma con una prevalenza dell’aspetto di cura, per una persona malata e non di ‘contenzione’”, spiega ancora l’avvocato Nicola Canestrini.
Dal giorno del suo fermo, Francesca Rozza si trova ricoverata al Santa Chiara di Trento, nel reparto di psichiatria. “Oggi la mia assistita non ha potuto partecipare all’udienza, perché le sue condizioni di salute non sono compatibili”.
Il prossimo passo è già segnato. L’avvocato roveretano lo conferma: “Abbiamo chiesto l’incidente probatorio in modo tale che il giudice per le indagini preliminari accerti l’imputabilità o meno della mia assistita e anche la sua capacità di seguire il processo”.
L’avvocato Nicola Canestrini, domenica 2 marzo, ha diffuso un comunicato stampa per delineare una cornice di quanto avvenuto in via Deledda a Riva del Garda.
“La tragedia che ha colpito Francesca Rozza e la sua famiglia merita silenzio e rispetto, non giudizi affrettati.
Prima di giudicare, è essenziale capire.
Capire il contesto, la sofferenza, il peso insopportabile di un’assistenza che si protrae per anni, spesso in solitudine, senza supporto né alternative reali.
La nostra assistita non solo ha vegliato sua madre per un giorno intero dopo averne causato la morte, ma ha anche tentato di togliersi la vita. Non ci è riuscita. Oggi è affranta per non aver avuto il coraggio di seguirla e vive con un dolore insostenibile. Non si giustifica, non cerca attenuanti. Sa di aver compiuto un gesto estremo, ma non prova sollievo per se stessa, solo la consapevolezza che almeno alla madre sono state risparmiate ulteriori sofferenze.
Quello che emerge con chiarezza è una lunga e profonda sofferenza psichica, un logoramento emotivo che si è consumato lentamente, fino a culminare in un atto disperato.
Da tempo la mia assistita viveva in uno stato di isolamento crescente, sopraffatta dalla fatica e dalla paura per il futuro della madre, senza riuscire a concepire un’alternativa. Negli ultimi mesi il suo stato psicologico è peggiorato sensibilmente: si era chiusa in sé stessa, non riusciva più a riposare, era sopraffatta da un’angoscia costante e mostrava segnali di esaurimento emotivo. Non aveva un piano, non aveva un progetto. È stata travolta da una condizione di sofferenza mentale che l’ha portata ad agire in un momento di totale sfinimento, quando le sue capacità di controllo erano ormai compromesse.
Questo non è un caso di volontà criminale, ma il risultato tragico di una mente annientata dal dolore e dalla solitudine. È necessario che il processo tenga conto della sua condizione psichica al momento del fatto, perché il diritto non può ignorare il peso della sofferenza mentale quando valuta la responsabilità di un individuo.
Il diritto deve giudicare, ma per farlo con giustizia deve prima comprendere. È quello che chiederemo nel processo: non una semplice applicazione della norma, ma un’analisi attenta della realtà umana e clinica che sta dietro questa tragedia”.