Il Giorno del Ricordo a Riva con le scuole «Maffei» e «Floriani»
L’incontro con tre testimoni degli eventi drammatici delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata: Egea Haffner (la celebre «bambina con la valigia»), Rino Girardelli e Roberto De Bernardis. È l’iniziativa con cui il liceo «Maffei» e l’istituto tecnico «Floriani» hanno celebrato il Giorno del Ricordo, a vent’anni dalla sua istituzione, per legge del Parlamento italiano. L’incontro è stato il 16 febbraio nella sala pubblica della Comunità di valle in due turni: uno con il «Floriani» (250 studenti, referente la prof.ssa Orietta Masserini) e a seguire il «Maffei» (250 studenti circa, referente la prof.ssa Michela Santorum). L’opportunità preziosa di comprendere quei fatti drammatici grazie al vivo racconto di chi li ha vissuti.
Egea Haffner (nata a Pola nel 1941, oggi vive a Rovereto) ha raccontato alcuni eventi della sua infanzia dopo l’estate del 1943, fino a quando, una sera di maggio del 1945, suo padre fu prelevato dalla sua abitazione e gettato, come tanti altri italiani, a morire nelle foibe. Naturalmente, una parte importante della sua testimonianza è stata legata alla celebre foto in bianco e nero (diventata l’icona dell’esodo giuliano dalmata) che la ritrae nei pressi della sua casa, bambina inconsapevole, con il vestito della festa, un ombrellino e la valigia con la scritta «esule giuliana» e il numero 30.001 (fatto trascrivere dallo zio Alfonso, che avrebbe così profetizzato l’esodo di tutta quanta la popolazione di Pola, che ammontava a circa 30 mila persone). Ha parlato poi della medaglia che le è stata conferita dall’allora presidente della Repubblica Ciampi, sul retro della quale è riportato il nome di suo padre, Kurt Haffner.
Rino Girardelli, classe 1938, ha condiviso con gli studenti la storia di suo padre, trentino che a partire dal 1936 era residente a Lanischie, un comune di circa mille abitanti in Istria, dove lavorava come maestro e dove fu anche eletto sindaco. Il 6 novembre 1943, quando Rino aveva quattro anni e mezzo, suo padre, uscito di casa momentaneamente, fu sorpreso da tre uomini incappucciati, che lo picchiarono e lo trascinarono via. Si trattava della polizia titina, che perseguitava gli italiani, li tratteneva in caserma, per poi eliminarli fisicamente, spesso buttandoli nelle foibe. Ha raccontato pure di un altro episodio, avvenuto in occasione della sua cresima, il 28 agosto 1947, quando in chiesa assistette all’irruzione dei titini che massacrarono sia il giovane sacerdote sia il vescovo. Solo nel 1957, tramite la mediazione di un avvocato, riuscì con la madre a raggiungere il Trentino, dove assaporò (queste le sue parole) la tanto sospirata libertà.
Roberto De Bernardis, presidente dell’associazione Venezia Giulia e Dalmazia del Trentino, ha parlato della sua esperienza di esule, che, all’età di due anni, partito da Pola in treno, ha raggiunto Udine, centro di smistamento dei profughi, per poi continuare il suo viaggio fino ad Altamura, in Puglia, dove è vissuto per dieci anni in un campo profughi, un ex caserma, nella piana riarsa, una sorta di ghetto fuori della città circondato da filo spinato, in cui i «diversi» vivevano un’esistenza parallela a quella degli italiani. Ha comunicato, con spirito di speranza e di fiducia, la notizia che per il 2025 saranno città capitali europee della cultura Gorizia in Italia e Nova Gorica in Slovenia, a suggellare un modo di vivere, ci si augura, pacifico, tollerante e collaborativo.