Gilberto Cerlenco, il bambino istriano salvato a Calavino da don Dante
La Valle di Cavedine conserva una importante testimonianza sulla deportazione negli anni immediatamente successivi alla Seconda Guerra Mondiale. A Calavino era cappellano il compianto don Dante Clauser (biennio 1947/48), definito “il prete dei barboni”, fondatore nel 1997 del Punto d’Incontro a Trento per offrire risposte ai bisogni delle persone senza dimora. Nei primi mesi del 1947 aveva raccolto in Paese una decina di bambini provenienti da diverse località. Fra questi anche Gilberto Cerlenco, istriano di Pola. Sua madre aveva optato per l’Italia e quindi insieme al figlioletto di 7 anni si era imbarcata sulla motonave “Toscana” con meta Venezia. Nella città lagunare i profughi erano stati accolti male, spacciati per fascisti, e quindi vennero smistati in varie regioni. Il ragazzino e la madre senza alcun mezzo di sostentamento vennero inviati nel Trentino e la prima destinazione, su iniziativa di organizzazioni religiose, fu Vigolo Baselga, dove vennero ospitati per qualche giorno in Canonica. La situazione, già di per sé molto precaria, precipitò allorché la madre dovette essere ricoverata per una forma tumorale all’ospedale di Trento e il bambino si trovò improvvisamente da solo. Dopo alcuni giorni venne spostato a Calavino, dove don Dante si stava occupando di questi ragazzini. In un primo momento vennero ospitati in uno stanzone del palazzo de Negri, ma siccome la comunità aumentava di giorno in giorno, fino ad arrivare a cinquanta bambini, si dovette cercare un’altra destinazione: dapprima una casa rurale semi abbandonata alla periferia del paese e successivamente in un edificio in località “Casina”. Ma come faceva don Dante a portare avanti senza mezzi il numeroso gruppo di ragazzi? Attraverso la cosiddetta “provvidenza divina”, che trovava il proprio convinto supporto nella solidarietà della gente di un tempo, che, pur in ristrettezze economiche, divideva “il pane” con chi aveva più bisogno.
Qualche tempo più tardi Gilberto venne ospitato, su iniziativa della POA, in un collegio a Levico e fortunatamente poté tornare dalla madre che, nel frattempo, era guarita. Dopo le Elementari frequentò i corsi di meccanica e trovò occupazione a Trento presso la fabbrica della leggendaria moto “Capriolo”. Però la sua aspirazione era quella di conseguire un diploma di scuola Superiore e vi riuscì, iscrivendosi ai corsi serali di ragioneria al Tambosi. Quindi il suo inserimento con concorso al Commissariato del Governo e poi l’ascesa verso i posti di primo piano all’interno dell’organizzazione dell’Ente. Ha sempre mantenuto un contatto col paese di Calavino, dove torna di tanto in tanto per ricordare quei momenti.