Sciopero cartai, Iania (UGL): “Senza lavoratori non c’è industria, senza dignità non c’è futuro”

La giornata di sciopero delle lavoratrici e dei lavoratori del settore cartario di mercoledì 17 dicembre ha segnato un passaggio importante nella vertenza per il rinnovo del contratto nazionale, uno stato di agitazione che interessa da vicino anche il nostro territorio. Nel Basso Sarca, dove il comparto rappresenta una realtà industriale storica e occupazionale di primo piano, la mobilitazione si inserisce in un contesto già segnato da crescenti difficoltà economiche e sociali.
Al presidio davanti agli stabilimenti Fedrigoni, la partecipazione è stata alta e determinata.
Secondo quanto riferisce il Sindacato Trentino UGL, lo sciopero ha avuto un impatto concreto sulla produzione: «macchine continue, patinatrici, bovinatrici, taglierine e gran parte dell’intero ciclo produttivo cartario hanno rallentato o sospeso le attività». Un segnale netto, che per il segretario provinciale UGL Leonardo Iania dimostra una cosa semplice e spesso dimenticata: «quando i lavoratori si fermano, si fermano anche le aziende».
Alla base della protesta c’è soprattutto la questione salariale
«Il problema principale è quello dei salari, che non tengono più il passo con il costo della vita», si legge nel comunicato. Un tema che nel Basso Sarca – sottolinea il sindacato – pesa ancora di più: «affitti fuori controllo, bollette elevate e spese quotidiane in costante aumento» mettono in difficoltà chi vive del proprio stipendio. «Sempre più famiglie, pur avendo un lavoro stabile, non riescono ad arrivare a fine mese», denuncia l’UGL, richiamando l’effetto dell’inflazione sul potere d’acquisto.
Per questo UGL, CGIL e UIL hanno avanzato una richiesta unitaria di 311 euro di aumento complessivo sui minimi tabellari nel rinnovo contrattuale. Una cifra che, secondo i sindacati, serve a recuperare quanto perso negli ultimi anni e a garantire un salario che permetta una vita dignitosa. Di fronte a questa richiesta, la proposta delle controparti – Assocarta, Assografici e Confindustria – pari a 190 euro complessivi, viene definita «deludente e insufficiente» e soprattutto «INACCETTABILE» dalle organizzazioni sindacali, perché non coprirebbe neppure l’inflazione accumulata.
Ma la mobilitazione non parla solo di buste paga.
Nel comunicato si richiama anche un tema di riconoscimento e di valore del lavoro: «negli anni le mansioni sono diventate più complesse, i ritmi più intensi e le responsabilità più alte», senza che questo abbia portato a un adeguato riconoscimento economico e professionale. «Non è accettabile che l’evoluzione del lavoro serva solo a chiedere di più ai lavoratori, senza restituire valore, tutele e prospettive», è l’accusa.
Il segretario provinciale Iania insiste sul punto: «Il lavoro non può essere trattato come una semplice voce comprimibile nei bilanci». E dietro la parola “lavoro” ci sono volti e vite quotidiane: «persone che si alzano alle quattro del mattino per essere presenti in azienda, che fanno i turni notturni, che lavorano il sabato e la domenica… che entrano in fabbrica con la neve, con il sole, con il caldo e con il freddo». Per questo, aggiunge, «senza di loro non c’è produzione, non c’è qualità, non c’è continuità industriale».
Nel mirino del sindacato c’è anche un modello industriale ritenuto sempre più sbilanciato verso logiche finanziarie: i lavoratori – si legge – non possono essere «relegati ai margini di aziende guidate da progetti esclusivamente finanziari, finalizzati al guadagno immediato degli investitori». Per l’UGL «questo modello non è sostenibile» e «un’industria che dimentica chi la manda avanti ogni giorno è un’industria destinata a indebolirsi e fallire».
Il messaggio finale, firmato dal segretario provinciale, è un richiamo alla centralità del lavoro: «I lavoratori devono tornare ad essere al centro di un vero progetto industriale». E la linea resta ferma: «Su questi temi l’UGL continuerà a essere presente e ferma. Il lavoro deve dare dignità, stabilità e futuro. Senza lavoratori non c’è industria. Senza dignità non c’è progresso».
(n.f.)










