Riva del Garda: Luca Grazioli denuncia il lato oscuro del turismo emergente

A sollevare la questione, con toni accesi e parole dirette, è stato Luca Grazioli, ex assessore al patrimonio e al decoro urbano della giunta Santi. Un post pubblicato sui social martedì 5 agosto innesca un acceso dibattito su un fenomeno che, secondo lui, sta assumendo proporzioni preoccupanti: l’arrivo massiccio di turismo “arabo emergente”, che non si integrerebbe con le regole, i valori e le tradizioni locali.
«Buona parte di questo turismo non rispetta le norme di ospitalità, né i principi di pulizia, ordine e rispetto per l’ambiente», scrive Grazioli. «Si tratta di comportamenti che rischiano di compromettere la reputazione e l’accoglienza che Riva del Garda ha costruito nel tempo, soprattutto nei confronti dei turisti del Nord Europa, storicamente più attenti al contesto».
Il riferimento a visitatori “a viso completamente coperto, fuorilegge” e “bambini lasciati liberi di girare tra i tavoli” ha immediatamente polarizzato i commenti, dividendo residenti e operatori turistici tra chi condivide la preoccupazione e chi teme derive discriminanti.
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Una riflessione che divide
«Questo è uno spunto di riflessione – ha precisato Grazioli al portale La Busa Online – Non dico che siano tutti così, ma molti non si godono davvero il nostro territorio, non rispettano il cibo, le regole a tavola, e si comportano con arroganza. È un problema di equilibrio: accogliere non significa accettare tutto».
Dietro le parole dell’ex assessore si intravede una critica strutturale al modello di turismo di massa che si sta consolidando in molte località del lago. Una crescita numerica, favorita anche da tour operator e offerte low cost, che non va sempre di pari passo con la qualità della permanenza o l’integrazione culturale.
L’accusa è netta: «Servono regole, non solo tolleranza. La reputazione turistica dell’Alto Garda è a rischio».
Ospitalità sì, ma con reciproco rispetto
La questione tocca corde profonde: quella dell’identità locale, della convivenza tra culture, del senso stesso dell’ospitalità. Ma anche quella della gestione urbana nei picchi stagionali. Alcuni residenti lamentano, non da oggi, schiamazzi notturni, degrado nei parchi e nelle spiagge, comportamenti ritenuti inappropriati in spazi pubblici.
Gli albergatori e ristoratori, invece, si muovono su un crinale più sottile: tra necessità economica e decoro. Alcuni, racconta Grazioli, avrebbero documentato con fotografie stanze lasciate in condizioni precarie e segnalato episodi di maleducazione.
Spirito critico, ma attenzione ai toni
È giusto e necessario, soprattutto in una località turistica che vive del proprio equilibrio ambientale e sociale, porsi domande sul tipo di turismo che si vuole attrarre. Ma è altrettanto importante che questo avvenga con lucidità, senza scivolare in generalizzazioni pericolose o in trappole retoriche che potrebbero alimentare sentimenti discriminatori.
L’assunto che “un turismo arabo di massa non apprezza il territorio” rischia di trasformare una riflessione legittima in una semplificazione etnica. È possibile criticare i comportamenti scorretti — a prescindere dalla provenienza — senza etichettare un intero gruppo culturale. La buona convivenza, infatti, si costruisce non solo con regole condivise, ma anche con rispetto e ascolto reciproco.
Verso un confronto post-stagione
Grazioli propone di affrontare la questione a stagione conclusa, con un tavolo tra tutti gli attori del turismo locale. Un invito al confronto, che potrebbe essere l’occasione per passare dal malcontento alla proposta: regolare meglio l’offerta, rafforzare le buone pratiche, pretendere rispetto ma anche educare all’accoglienza.
Nel frattempo, però, la questione è stata sollevata. E sarà difficile, da qui in avanti, ignorarla. Il turismo è una risorsa straordinaria per Riva del Garda, ma non può essere fine a sé stesso. Deve avere un senso, un equilibrio, e un’identità. E soprattutto, come ricordava lo scrittore francese Albert Camus, “la vera generosità verso il futuro consiste nel dare tutto al presente” — anche il coraggio, difficile ma necessario, di discutere apertamente di ciò che non funziona.