Quando la terra tremò all’alba: il terremoto che segnò Riva del Garda e la Valle di Ledro il 13 dicembre 1976

Redazione13/12/20258min
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C’è un attimo, nella memoria collettiva dell’Alto Garda, che non si è mai davvero spento. Un attimo che ritorna ogni 13 dicembre, insieme ai racconti dei nonni, alle fotografie ingiallite, al ricordo di un boato cupo che sembrò arrivare dal fondo della valle.
Erano le 6:24 del mattino del 13 dicembre 1976, giorno di Santa Lucia, quando un terremoto di magnitudo 4.4 scosse Riva del Garda, la Valle di Ledro e i paesi vicini. Quattro secondi appena, ma furono sufficienti per lasciare un segno che ancora oggi attraversa strade, edifici e soprattutto il cuore della gente.

L’alba che cambiò tutto
Faceva freddo, quella mattina. Un freddo secco, tagliente, che si appiccicava alle case come una brina silenziosa. Il paese dormiva ancora, avvolto nel buio d’inverno, quando improvvisamente arrivò quel rombo profondo, simile a un tuono sotterraneo. Poi la scossa. I letti sobbalzarono, i vetri tremarono, piatti e stoviglie caddero a terra. In molti ricordano ancora la paura di quei secondi interminabili.
La gente scese in strada in pigiama, avvolta in coperte afferrate in fretta, mentre i primi chiarori dell’alba rivelavano muri crepati, cornicioni crollati, camini spezzati. Non ci furono vittime — una fortuna che ancora oggi viene citata come una benedizione — ma la città e l’intera valle ne uscirono ferite.

 

 

Riva del Garda: una città sotto shock
Fu Riva del Garda a pagare il tributo più pesante. I primi sopralluoghi misero nero su bianco una realtà drammatica:
– 35 abitazioni gravemente lesionate,
– 60 con lesioni localizzate,
– 120 con lesioni moderate,
– 200 con danni leggeri, centinaia di persone costrette a lasciare la propria casa.
Le cifre — circa 10 miliardi di lire di danni — non raccontano fino in fondo ciò che si vedeva per le vie del centro: famiglie intere accalcate nei punti di raccolta, bambini che piangevano, anziani increduli davanti alle crepe che attraversavano case vecchie di secoli.

Molti edifici simbolo della città riportarono danni ingenti: il Municipio, la Pretura, l’Ufficio postale, il Palacongressi, parte delle strutture dell’ospedale, la storica Rocca, la Chiesa parrocchiale dell’Assunta. Anche il Giardino d’infanzia fu dichiarato inagibile.
La scuola media “Damiano Chiesa” venne considerata irrecuperabile: da demolire e ricostruire, con un costo stimato di oltre due miliardi di lire. Le altre scuole richiesero interventi costosi e urgenti. Per mesi, molti studenti seguirono le lezioni in sedi provvisorie.

Ledro e l’Alto Garda: una valle ferita
Il sisma si fece sentire violentemente anche in Val di Ledro, dove molte case — soprattutto le più vecchie, in pietra — mostrarono lesioni profonde, fessure nei muri portanti, tetti dissestati.
A Molina e Pieve di Ledro le famiglie evacuarono in fretta e furia, lasciando sul tavolo le tazze del caffè, ancora calde.
La scossa provocò anche frane e smottamenti: uno smottamento sulla strada tra Riva e Biacesa bloccò l’accesso alla valle, un tratto della strada del Ponale cedette, si registrarono movimenti del terreno anche verso Tione. La valle rimase isolata per ore, mentre i mezzi di soccorso tentavano di aprirsi un varco tra sassi e terra.

Un sistema di soccorso che stava nascendo
Nel 1976 la Protezione Civile del Trentino, come la conosciamo oggi, di fatto non esisteva. Eppure, si mosse una macchina straordinaria, una forza silenziosa e instancabile, fatta di vigili del fuoco volontari, forze dell’ordine, sanitari, alpini, crocerossini, e tantissimi cittadini che, armati di buona volontà, iniziarono a controllare le case, distribuire coperte, assistere gli anziani soli.
Alcune famiglie furono portate in hotel, residence e strutture turistiche, che in quella stagione erano in gran parte vuoti. La solidarietà ebbe un ruolo immenso: ognuno portava qualcosa, un termos di caffè, una stufa elettrica, una parola rassicurante.
Oggi, nella rubrica “Accadde oggi“, poche righe per ricordare quell’evento, ancora così vivido nella memoria collettiva trentina: “Alle ore 6:24:39 del 13 dicembre 1976 una forte scossa, della durata di circa 4 secondi, colpì l’Alto Garda e la valle di Ledro. L’evento ebbe una magnitudo di circa 4.4 sulla scala Richter, con un’intensità stimata di 6.5 sulla scala Mercalli (MCS). Non si registrarono vittime, ma centinaia di persone rimasero sfollate.
I danni furono significativi (circa 10 miliardi di lire), concentrati soprattutto nel centro storico di Riva del Garda: 80 edifici risultarono molto danneggiati e furono sgomberati, 100 edifici con danni meno gravi e 500 edifici con danni non gravi o leggeri.
A Molina di Ledro furono evacuate 57 case e 95 risultarono danneggiate nelle strutture portanti. Si registrarono inoltre danni nei comuni limitrofi.

Un evento piccolo sulla carta, enorme per chi lo visse
Oggi, nei rapporti sismologici, il terremoto del 13 dicembre 1976 appare come un evento modesto dal punto di vista energetico, soprattutto se confrontato con grandi catastrofi come il terremoto del Friuli avvenuto pochi mesi prima. Ma per l’Alto Garda fu un colpo durissimo, perché colpì al cuore un territorio che non era preparato, con edifici antichi e fragili, e una conoscenza della sismicità ancora limitata.
Per questo gli studiosi lo considerano oggi uno dei terremoti più significativi della storia recente del Trentino: non per la magnitudo, ma per le conseguenze sul territorio.

Dalla memoria alla ricerca: il terremoto che ha insegnato a prevenire
A quasi cinquant’anni di distanza, quel sisma non è solo un ricordo. È materia di studio.
L’Università di Trento, insieme a centri di ricerca e istituzioni locali, ha sviluppato negli ultimi anni progetti per ricostruire digitalmente la scossa del 1976, creare mappe del rischio sismico locale e migliorare la sicurezza del patrimonio edilizio.
Un modo per trasformare una ferita in conoscenza.
Per fare in modo che la memoria non sia soltanto un racconto, ma una guida per il futuro.

Un ricordo che vive ancora
Chi quel giorno l’ha vissuto, oggi lo racconta con un misto di paura e gratitudine. Paura per quei minuti interminabili, per le notti trascorse fuori casa, per l’inverno che sembrava più freddo del solito. Gratitudine per una comunità che si scoprì unita, forte, instancabile.
Il terremoto di Santa Lucia, come viene ancora chiamato, è entrato così nella storia dell’Alto Garda: non solo come un evento naturale, ma come un passaggio collettivo, un capitolo di resilienza che continua a insegnare molto anche oggi.
Nicola Filippi