Le Suore JMJ sono infermiere ed OSS alla “Fondazione Comunità” di Arco

Nicola Filippi08/01/20256min
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La comunità cattolica di Arco domenica 5 gennaio ha festeggiato in Collegiata un evento importante, alla presenza dell’Arcivescovo di Trento, monsignor Lauro Tisi. Per due motivi: uno più strettamente religioso, l’altro invece “laico”. A Villa Tabor, da qualche mese, vivono alcune suore indiane della Congregazione religiosa cattolica Jesus Mary Joseph (JMJ). Le quali, con la loro presenza, per la prima volta in Trentino, hanno contribuito a ridare vita alla casa di preghiera di viale Capitelli, ad Arco. Ma non solo. L’arrivo delle sorelle indiane rappresenta una buona notizia anche per la Fondazione Comunità di Arco. Una di quelle “che dà speranza e può essere una soluzione a un problema enorme, la carenza di personale qualificato negli ambiti socio-sanitari”, afferma il presidente della Fondazione. L’ingegner Paolo Mattei era presente nella chiesa parrocchiale di Santa Maria Assunta perché tre suore lavorano, con regolare contratto, all’interno della casa di riposo di via Strappazocche: due come infermiere professionali, una come Oss. Ed è stato proprio il presidente Mattei a rendere concreto questo progetto, al momento ancora pilota, che però lo stesso si augura possa attecchire e diffondersi su altre realtà trentine, ma anche a livello nazionale e europeo.
Questa bellissima storia “nasce da una nostra esigenza stringente – racconta il presidente Mattei – l’anno scorso non si trovava personale sanitario. Non solo per la nostra struttura. Il problema – sottolinea – è molto diffuso, riguarda ospedali, ambulatori, Rsa, centri di riabilitazione. È una questione nazionale, per un problema legato agli stipendi, troppo bassi, non va bene così – sottolinea – Gli stipendi sono bassi per questo tipo di importantissima professionalità nell’assistenza socio-sanitaria, gli stipendi devono essere rivisti. Questa però è una mia opinione, ma credo sia condivisa da moltissime persone”.
Dopo la piccola digressione, il presidente Mattei prosegue con il suo racconto. “L’arrivo delle suore della Congregazione JMJ non è stato facile – spiega a La Busa – Sono stato a Roma due volte per avviare questo percorso di supporto socio-sanitario, ma ho trovato una congregazione aperta, fertile, molto aperta. Oggi possiamo dire che è andata bene, che abbiamo raggiunto un obiettivo importante, ora vediamo cosa succederà nei prossimi anni”.
Per il presidente Mattei questo progetto-pilota non deve restare un “unicum”, come un bel quadro appeso alla parete. È nato ad Arco, ma deve diventare prima di tutto trentino e poi nazionale. “Sarebbe interessantissimo se la Provincia provasse a creare un progetto per poter accoglierne altre suore della Congregazione indiana JMJ – spiega il presidente Mattei – bisogna fare una scuola di formazione. Noi, in Fondazione, la stiamo facendo in forma privata, all’interno della nostra struttura. Si pensi solo alla lingua. Pur conoscendo già l’italiano le suore si confrontano con una persona anziana con la quale bisogna parlare loro con un linguaggio semplice. Esse devono avere grande padronanza della lingua, pensando soprattutto al ruolo delicato che svolgono. Inoltre – sottolinea ancora -, i nostri standard qualitativi, parlo a livello nazionale e europeo, sono molto elevati, soprattutto quello italiano, ed è per questo che tanti nostri lavoratori si trasferiscono all’estero”.

 

 

Per il presidente Mattei “la Provincia deve creare una scuola che accolga questa nuova manodopera e la formi per l’assistenza – ribadisce – L’India conta un miliardo e mezzo di popolazione ed è un bacino immenso di personale infermieristico e Oss, soprattutto femminile”. Il motivo è ben presto spiegato. “In India c’è abbondanza di offerta perché le famiglie mandano le proprie figlie a studiare come assistenti sanitarie, rappresenta uno sbocco sicuro e una fonte di stipendio garantito, è una professione sicura – illustra ancora il presidente Mattei – In Italia, ma anche nella stessa Europa, c’è bisogno di queste figure professionali. Perché non attingere a quell’immenso bacino che è rappresentato dall’India?” Per Mattei, “questo gap deve essere chiuso”, creando un percorso di formazione specifico, della durata di un anno, per creare nuove figure professionali altamente qualificate, da impiegare poi in strutture ospedaliere, ambulatori, case di riposo.
Quello che è successo ad Arco, ribadisce infine il presidente della Fondazione, “è una buona notizia, che dà speranza e può essere una soluzione a un problema enorme – conclude Mattei – purtroppo più avanti si va con gli anni e peggio sarà. Il trend sociale ci mostra denatalità abbinata all’invecchiamento. È una tagliola mortale per il futuro. Fra 10/20 anni, un lasso di tempo ristretto, chi assisterà i nostri malati, i nostri anziani, i nostri disabili? Dobbiamo pensarci adesso. E la soluzione è alla nostra portata. Ma serve un progetto sistemico. Come per le badanti”.