La Collegiata di Arco ritrova la sua voce: l’organo restaurato torna a suonare

È stato un risveglio speciale quello vissuto da Arco nella domenica di Pentecoste. Dopo sette anni di silenzio, l’antico organo della Collegiata è tornato a suonare, regalando alla città un momento di rara bellezza e spiritualità. Un evento profondamente simbolico, che ha trovato la sua cornice perfetta in una giornata che celebra il soffio dello Spirito Santo. La voce dell’organo, come un respiro trattenuto troppo a lungo, ha finalmente spezzato il silenzio.
“La città di Arco si è risvegliata, nel giorno di Pentecoste, con una nuova voce: quella della sua Chiesa Collegiata”, ha scritto in un emozionante commento pubblico l’ex assessore alla cultura Guido Trebo, tra i più attenti osservatori della vita culturale arcense. “Dopo sette anni di silenzio, lo storico organo è tornato a suonare, riempiendo le navate di un suono maestoso e commovente, come un respiro trattenuto troppo a lungo che finalmente si libera.”
Il concerto inaugurale, affidato alle mani esperte di cinque organisti (Luca Moser, Tarcisio Battisti, Stefano Rattini, Paolo Delama), ha attraversato secoli e stili musicali, da Bach a Mendelssohn, da Verdi a Saint-Saëns, ma è stato l’organo stesso il vero protagonista: una voce ritrovata, capace di commuovere.
“L’organo è molto più di uno strumento. Esso è mistero che si manifesta, è soffio che si fa suono, è aria che diventa canto”, scrive Trebo. “Le canne dello strumento posto nella cantoria della nostra Collegiata, silenziose per anni, sono state come sentinelle in attesa del giorno in cui il loro alito avrebbe di nuovo parlato a Dio e agli uomini.”
Il restauro dello strumento – costruito nei primi del Novecento dalla ditta Gebrüder Mayer – è stato affidato all’organaro Giacomo Zeni. Un lavoro complesso, iniziato nel 2018, che ha richiesto anche il consolidamento e l’ampliamento della cantoria, realizzati su progetto dell’architetto Pasquarè e dell’ingegnere Oss Emer.
Oggi, lo strumento può contare su 2776 canne, 43 registri, tre manuali con pedaliera e trasmissione meccanica: una vera “macchina sonora” rinnovata nella voce e nella struttura. Il tutto reso possibile dalla determinazione e dalla fede del parroco, don Francesco Scarin, che ha saputo tenere viva la speranza anche nei momenti più difficili.
“Nulla è stato semplice. Ritardi, imprevisti, ostacoli hanno segnato il cammino verso questa rinascita. Ma, grazie alla straordinaria resilienza di don Francesco, ora tutto è compiuto, e compiuto nel segno della fede e della speranza”, sottolinea Trebo.
E non è solo la tecnica a rendere speciale questo strumento. È ciò che rappresenta. È la memoria musicale della città, che affonda le radici nel lontano 1732, quando il conte Sigismondo d’Arco, canonico di Salisburgo e Augusta, donò alla Collegiata un primo organo monumentale.
“Mi piace pensare che il suono dell’organo, generato dal soffio, sia immagine dell’opera creatrice di Dio”, aggiunge Trebo, evocando il passo della Genesi: “Come quando ‘il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita’… così ogni nota uscita da quelle canne è stata un frammento di creazione, un atto di vita.”
Il pubblico, raccolto nella penombra delle navate, ha ascoltato in silenzio, con gli occhi lucidi e il cuore colmo. Non è stato solo un concerto. È stata una rinascita. Un segnale forte che parla alla città, che invita a credere ancora nella cultura, nella bellezza, nella possibilità di ricostruire.
“Ora che la Collegiata ha ritrovato la sua voce, resta l’augurio che essa non taccia più”, conclude Trebo. “Che questo strumento, tornato a vivere, possa risuonare spesso: nella liturgia, nell’arte, nella meditazione, nella festa. Perché ogni sua nota sia una benedizione per la città, una carezza dello Spirito, una testimonianza viva di quanto l’uomo può creare quando si lascia ispirare dal soffio di Dio.”
E così, nel cuore della Pentecoste, Arco ha ritrovato qualcosa di sé. Una voce che mancava. Un’anima che risuona. Un’eredità che continua a parlare, in musica, alle generazioni future.