Il grido di Rocco Frizzi: “Il teatro della discordia: a Riva il palco si apre prima dello spettacolo”

Nicola Filippi25/04/20254min
_ZFG8089 COSTRUZIONE TEATRO RIVA TORRE SCENICA (2)


 

Non è ancora stato inaugurato, eppure già divide. È il nuovo teatro di Riva del Garda, cuore pulsante di un dibattito che da anni infiamma la politica e la cittadinanza. Al centro della controversia: la torre scenica, un’imponente struttura alta 23 metri che, secondo alcuni, rischia di stravolgere per sempre il delicato equilibrio estetico e paesaggistico della città gardesana.

A ripuntare i riflettori sul progetto è stato, in questi giorni, un lungo e appassionato messaggio social di Rocco Frizzi, figura nota della politica rivana e voce esperta in campo teatrale, grazie anche alla sua formazione accademica in canto lirico e scenografia. Le sue parole non sono solo una critica, ma il grido accorato di chi vede in quell’opera un’occasione mancata, un sogno tradito dalla fretta e da una mancanza di visione.

“Non c’è mai stato un vero dibattito su che tipo di teatro volessimo per Riva”, scrive Frizzi, evidenziando come la discussione pubblica sia mancata sin dagli albori del progetto, nato nel 2005. E ora, a pochi mesi dalle elezioni comunali, il teatro – che dovrebbe unire – sembra invece dividere più che mai.

Frizzi pone una domanda semplice ma potente: “Riva del Garda sarà all’altezza di questa scommessa?” Una scommessa che non è solo estetica o architettonica, ma soprattutto gestionale ed economica. Una torre scenica come quella prevista – spiega – comporta oneri pesanti e difficoltà notevoli per la gestione quotidiana. “Basta guardare ai bilanci dei grandi teatri lirici italiani per capirlo.”

Ma non è solo questione di costi. Frizzi scava più a fondo, sollevando interrogativi sulla natura stessa del teatro nel XXI secolo. Si interroga su forme e contenuti, sulla relazione tra spazio scenico e spettatore, citando maestri come Brook, Strehler, Artaud e Beck. Le sue parole evocano un teatro fluido, vivo, un laboratorio di senso e non un museo del passato incatenato alla tradizione ottocentesca.

 

 

“Perché continuiamo a pensare al teatro come a una sala da esposizione e non come a un luogo dove si produce arte e relazione?” si chiede, citando il circolo vizioso che costringe architetti e registi ad assecondare schemi antiquati pur di rientrare nei grandi circuiti di produzione e distribuzione.

C’è spazio, in questo teatro, per le scuole, per i gruppi locali come i Sarcaioli, per le piccole realtà che compongono il tessuto culturale cittadino? O il rischio è che venga eretto un monumento all’inutilizzabilità, inaccessibile, distante dalla comunità?

La provocazione più forte, tuttavia, è forse quella finale: “Se vogliamo offrire un’idea nuova di teatro, dobbiamo prima affrontare davvero il problema nella sua vastità. Cosa che a Riva non è mai stata fatta.”

In vista delle imminenti elezioni, il teatro – o meglio, la visione di cosa il teatro debba essere – è uno dei temi caldi della politica rivana. E la torre scenica, da struttura tecnica, diventa simbolo politico e culturale. Non una semplice opera pubblica, ma lo specchio di una comunità che si interroga su sé stessa, sul proprio futuro e sulla propria identità culturale. Forse è davvero tempo, come suggerisce Frizzi, di fermarsi un attimo e ascoltare. Non solo le voci dei tecnici o dei politici, ma anche e soprattutto quelle di chi il teatro lo vive: attori, studenti, cittadini. Perché prima ancora che una torre, serve un’idea. Un’idea condivisa. Un’idea che metta davvero tutti in scena.

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