Arco e il suo Rock Master: eredità da onorare, nuova generazione da trovare

C’è qualcosa nell’aria di Arco che sa di magnesite e ricordi. Un profumo che si mescola al vento che accarezza le pareti di Prabi, al rumore dei rinvii e al mormorio delle storie che sanno di pionieri e passione. In una saletta riservata del ristorante “La Giara”, Mario Morandini ha voluto raccogliere attorno a sé una dozzina di voci che hanno messo sotto la lente Rock Master. Non con l’intento di giudicare, ma con quello più sottile, più necessario, di comprendere. Di proteggere ciò che è stato, per tentare di capire cosa sarà.
Da quell’ormai mitico SportRoccia del 1986, quando tutto partì in un’Italia che scopriva l’arrampicata come sport, Arco ha fatto molto più che ospitare una gara: ha costruito un’identità. Con la roccia prima, con l’artificiale poi, con l’audacia di chi ci credeva – Mario Morandini, Ennio Lattisi, Albino Marchi, Bepi Filippi, Angelo Seneci e via via tutti gli altri – si è forgiato qualcosa che è andato oltre l’evento. È nata una comunità, una visione. È nato il Rock Master, un nome che oggi suona internazionale ma che, in fondo, resta profondamente trentino.
Eppure, oggi, quella creatura che ha fatto sognare generazioni intere, sembra affaticata. “Serve voltare pagina”, ha detto senza giri di parole Stefano Tamburini, l’ultimo presidente. Perché i tempi cambiano, le gare oggi si moltiplicano ovunque e Arco non è più l’unico faro nel buio. Per restare al vertice, non bastano più la passione e l’esperienza: servono competenze, organizzazione, risorse. E forse anche un po’ di coraggio per lasciare il testimone.
Ma a chi?
È questa la domanda che aleggiava tra i tavoli apparecchiati. Perché il rischio più grande, oggi, è che quel cuore pulsante di volontariato, che ha retto l’anima della manifestazione per decenni, venga soppiantato da una gestione che, pur necessaria, rischia di far perdere il calore e la magia dell’impresa collettiva.
In questo senso, i nomi di Daniela Comperini e Sergio Calzà sono diventati simboli, volti e mani che hanno letteralmente costruito Rock Master. Daniela, con i suoi 38 anni in segreteria, a sbrogliare ogni anno una matassa più ingarbugliata di carte, orari e iscrizioni. Sergio, con la sua generosità fuori scala, esempio di quell’essere “volontario” che è molto più di un ruolo: è uno stile di vita.
Una targa ricordo, un abbraccio, qualche lacrima. Ma anche la consapevolezza che senza memoria, non si costruisce futuro.
Oggi il Climbing Stadium è nelle mani della FASI, la Federazione Arrampicata Sportiva Italiana. È un passaggio importante, forse inevitabile. Ma il rischio è che si perda il legame tra Arco e il “suo” evento. Che Rock Master diventi solo un punto in calendario, invece che un pezzo di cuore della città.
Chi sarà allora la nuova generazione? Dove sono i giovani che vorranno raccogliere questa eredità, farla propria, reinventarla? Arco guarda avanti, ma non senza un po’ di nostalgia. Perché quando un evento cambia la storia di un territorio, non può essere trattato come qualcosa di ordinario.
Il Rock Master non è solo una gara. È un pezzo di vita arcense. È la voglia di sfidare il verticale, certo, ma anche quella di ritrovarsi, anno dopo anno, sotto quelle luci, tra quegli applausi. Perché ci sono storie che meritano di essere raccontate ancora, e ancora.
E Arco, di storie così, ne ha ancora da scrivere.