Addio a Giancarlo “Galetina” Lutteri, scrittore e poeta con Arco nel cuore

Redazione15/01/20253min
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di Nello Morandi

Lo chiamavamo “Galetina” – arachide in dialetto – ma francamente non ne ricordo il motivo. Lui mi confidò, una volta, che era stato Renato Mandelli, altro mito della mia infanzia, ad affibbiargli questo soprannome. Forse perché Renato – il famoso “don Dado” – era grande e grosso e lui non proprio un gigante, anche se il suo fisico, magrissimo, sprizzava energia da tutti i pori. Come i suoi occhi, vivacissimi e curiosi, gli unici a non cedere all’età ed agli acciacchi perché specchio di una incrollabile sete di sapere. Mi piace pensare che sia stato così, fino al momento ineluttabile di andare avanti, vinto dall’età e dalle conseguenze di una malaugurata caduta in casa che da tempo l’aveva costretto in un letto d’ospedale.
Giancarlo Lutteri, dopo una vita trascorsa a Milano, dove è nato 87 anni fa, ha lavorato e messo su famiglia sposando la sua Mariapia, riposerà però nel cimitero della “sua” Arco, alla quale era legatissimo per parentela, ma soprattutto perché all’ombra del Castello ha trascorso momenti indimenticabili della sua giovinezza e stabilito indissolubili rapporti di amicizia. Di quelli che ti segnano e non ti lasciano più, anche se sei il responsabile dell’engineering dell’Ansaldo, anche se abiti alla Bovisa, anche se il Barbera da tempo aveva sostituito il Merlot. Lui, il “Galetina”, li teneva in vita affidando alla carta le sue emozioni e i suoi ricordi, scrivendo poesie, brevi racconti, storie struggenti.
Non moltissimo tempo fa, mi aveva fatto dono di alcune delle sue pubblicazioni, mai edite e quindi ancora più preziose. Raccontavano di escursioni con gli amici, di sogni, di notti stellate, di montagne, le sue montagne, che aveva frequentato da ragazzo anche con gli scout (“dai quali sono stato espulso su richiesta di monsignor Corradi, reo, a suo dire, di avere un linguaggio troppo colorito”).
Forse un po’ ribelle, forse un po’ poco politically correct, ma molto vero. Questo il Giancarlo “Galetina” che voglio ricordare al sempre più sparuto numero degli amici di quell’epoca magra ma entusiasmante perché ci dava la sensazione che nessuno ci avrebbe potuto rubare il futuro. Un tempo in cui contavano anche le “Migole”, “cose minute, sparse sul selciato, nell’ombra dei cortili, ovunque vengano lasciate cadere – come ricorda Giancarlo in un suo racconto – Paiono insignificanti, estremo residuo d’un pane, d’un biscotto. Ma quanti passeri nutrono! Queste “migole”, che chiameremo storie, non sono inventate, sono state vissute, comprese, narrate, affinché ne rimanga agrodolce memoria”.
Però la tua sensibilità le ha sapute raccogliere, caro amico, e questo è un patrimonio che ci hai lasciato e niente potrà anche solo scalfire.