Processionaria del pino: ecco le cose da fare e sapere
È presente da secoli in quasi tutte le vallate del Trentino, dal fondovalle fino a circa 1400 m di quota, ma negli ultimi decenni segnati dal cambiamento climatico in atto, sia la distribuzione sia la sua periodicità sono andate via via modificandosi quale risposta adattativa della specie. Stiamo parlando della processionaria del pino, Traumatocampa pityocampa, Denis & Schiffermüller, un Lepidottero ampiamente diffuso nelle pinete dell’area mediterranea, dove provoca defogliazioni e disseccamenti. I rischi per la salute umana, ma anche quella degli animali domestici, sono legati ai fenomeni irritativi provocati dall’eventuale contatto con i peli urticanti delle larve. Come si combatte? Lo spiega il Servizio Foreste e Fauna provinciale, che ricorda ciò che si deve fare e sapere.
La processionaria del pino, Traumatocampa pityocampa, Denis & Schiffermüller, è un Lepidottero ampiamente diffuso nelle pinete dell’area mediterranea, dove provoca defogliazioni e disseccamenti ed è naturalmente presente da secoli in quasi tutte le vallate del Trentino, dal fondovalle fino a circa 1400 m di quota.
Non esistono misure efficaci per evitare l’espandersi della processionaria, ma solo metodi di controllo utili a contenere le popolazioni, da applicare soprattutto negli anni di forte infestazione e nelle aree più a rischio (vicino a centri abitati e lungo la viabilità). Nessun intervento di controllo è tuttavia in grado di impedire che nuovi aumenti della popolazione del lepidottero si ripresentino a distanza di tempo.
Più che per i danni alle pinete, la problematica è data dalle implicazioni igienico-sanitarie, derivanti dei fenomeni irritativi provocati dall’eventuale contatto con i peli urticanti delle larve da parte di persone e animali domestici, soprattutto nel periodo di discesa delle larve verso il terreno, per lo più da inizio marzo a fine aprile. Negli altri periodi non vi sono rischi per salute, se non a seguito di contatto diretto con i nidi o con le piante infestate.
Oltre agli interventi selvicolturali di sostituzione del pino nero con altre specie, alla raccolta manuale e alla distruzione dei nidi, il metodo più efficace e più usato negli anni recenti è il trattamento microbiologico con Bacillus thuringiensis kurstaki (Btk), nelle zone accessibili con mezzi meccanici o aerei (vengono utilizzati dei potenti atomizzatori). Peraltro, quest’ultimo è attualmente non applicabile ai sensi del Piano di Azione Nazionale per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, anche se il Piano è in fase di revisione con la ricerca, a livello nazionale, di una soluzione che permetta di superare la limitazione all’uso dei Btk.
Altri sistemi di contrasto, applicabili soprattutto in contesti urbani/periurbani sono l’endoterapia (iniezione di insetticida direttamente nel tronco) o la raccolta meccanica, al momento della discesa delle larve dalle piante, tramite trappola-collare da posizionare intorno al tronco della pianta, con la successiva distruzione dei bruchi.
Una volta che in primavera le larve sono scese dalle piante e si sono rifugiate nel terreno sotto forma di crisalide, per sfarfallare durante l’estate dello stesso anno o anche degli anni successivi, non vi è più alcun rischio urticante fino alla primavera seguente. A quel punto i resti dei nidi vecchi sulle piante diventano solo una questione estetica, che si risolve naturalmente con pioggia e vento, anche se rimane buona norma evitare il contatto diretto con gli stessi.