Quando i bambini avevano per tetto un cielo di stelle

Vittorio Colombo26/10/20255min
anni50via maffei, aldo moser - Copia

Siamo (stati) bambini. E, allora cos’è bello e cosa è brutto?
Bello è stare sdraiati sull’erba e contare le stelle. Pulsano a grappoli. La Stella Polare è la signora delle luci. C’è poi quel San Lorenzo che le stelle le manda sulla terra e, in cambio, chiede desideri. Quelli di un bambino sono i più ascoltati.
È bello saltare sui mucchi di fieno e tenere in bocca un filo d’erba, orticarsi e soffrire, spinarsi e soffrire, disperdere nell’aria, con un soffio, i mille piccoli soffioncini che sembrano neve leggera.
Piangere per la “Piccola Vedetta Lombarda”, piangere per “Marcellino Pane e Vino”, piangere senza sapere per che cosa, ridere alla battuta: “Il bue è il marito della vacca, per forza è cornuto”, ridere senza sapere per che cosa.
In negozio: i vasi di vetro panciuti sono pieni di caramelle colorate. Nota: “prendere pessate ‘mbriaghe, sacarina, sgombri ‘n carta oleata”. In soffitta entri nella polvere; metti la testa nel baule dei bisnonni: i quaderni del fascismo, la foto del duce, la preghiera del balilla, le tovaglie di pizzo, le coperte alle ragnatele, il vestito da sposa, le foto ingiallite, lettere con promesse d’amore, famiglie schierate con dodici figli e nessun nome.
Scendere con la cesta a prendere “stèle de legna per far el foch”. Andare sul monte a far “legna picola per fassine”. Ai “fortini” cerchi: baionette, pezzi di bomba, proiettili; sui “lastroni” conchiglie e fossili.
Guardi sotto il letto: perché se dormi l’uomo nero salta su e ti tira le gambe. In una “casòta sul mont” ci sono “le strie” e il fantasma di uno che ha la testa girata e così guarda nelle verze.
L’uomo della caverna sul Brione è un “cavernicolo”, “el bis del Lufàm” ha mangiato un bue senza masticarlo.
La “mónega” non è la suora, ma un “argàgn” di legno, tipo slitta, che può bruciare il letto e anche la casa; meglio portare a letto la “scaldina” di metallo. La “trapónta” doppia è per quando si va sotto zero, il berretto lo cali sugli occhi, le tre coperte sono una “carga”.
L’albume d’uovo, messo fuori dalla finestra la sera, diventa alla mattina la barchetta “de San Péro”. Le dodici cipolle, “sute o bagnae”, danno le previsioni del tempo.
I vecchi materassi di “scartozzi” fanno rumori d’autunno; portano poi i segni di battaglie: non per niente i piccoli si chiamano “pissanlèt”.
“El sensér” è un tizio che “spùa sule man” per vendere un toro, “na vaca o ‘n porzèl”. Girano in paese “l’ombrelèr”, “el spazzacamìm”, “el strazzèr”, “el moléta”, “el stradìm”. “El faméi” ha un nome che richiama la fame.
Tra le donne c’è la “padela rota”, che “la dis fora miserie” e “quela che mete zizania nele famée”. La ragazzotta con minigonna è “na rovinafamée”.
Al bar chiedono “en quartìm de vim”, altri “en goz de vim pìcol”. Non manca mai quello che “dis for monàe” o che “el stravaza”.
Tramonti rosso fuoco sul lago. Lo Stivo “col capèl, o che ‘l fa brut o che ‘l fa bel”. Ma il proverbio giusto dice che “de aqua ghe n’è drio che ne vei en sdravèl”. Le nuvole o “le va vers Trent o vers Verona”.
Stai sulle spalle del papà alla Notte di Fiaba. I botti dei fuochi d’artificio possono far crollare la Rocchetta.
Se il temporale vien dal lago, sono dolori e volano i coppi. Cade un fulmine o una “saieta”: se senti il tuono, vuol dire che sei vivo.
Lavarsi dietro le orecchie? Lo fanno i gatti e vien da piovere. Meglio lasciar perdere e stare al sole.
Allo specchio faccio le boccacce. Prove: così tirerò “le trezze” alla Susy che “pianzendo come na vigna” la bagnerà le “còtole ala maestra”. Prendo la cartella, sistemo la “moléta” che tiene il ciuffo a posto e vado a scuola. Oggi mi sa che dirò “stupida cretina” alla maestra.
Vittorio Colombo