Tutti abbiamo un bar da piangere

Vittorio Colombo01/05/20224min
BAR ROMA BELLA

 

I bar, qualche bel decennio fa, erano luoghi magici. Seconde case, porti franchi, chiese laiche per devoti dell’aperitivo. O del bianchetto e dello spriz. “Refugio pecatorum”. Dove c’era libertà. Pressoché assoluta, di pensiero, azione e libagione. Luogo democratico di aggregazione. Tutti al bar, democristiani, comunisti, missini, credenti e creduloni, attempati dal bianco riporto e stalloni, “a ciàcere”, dalle conquiste inventate e dalle prestazioni alla Nembo Kid: “La zigheva basta!”. “Ma vah, sgionfabòze che non te se altro!”.
Ci vuole un bel brindisi. Alla salute. Braccino corto: “Dai, tira fuori quelle mille lire!”. “Ho desmentegà a casa ‘l portafoi”. Che novità!
Le donne:
a) facili
b) difficili
c) impossibili,
primo argomento di discussione. Non c’è gara. Poi il calcio. Milan o Juventus, e l’Inter di Herrera dove lo mettiamo? Domenica arriva l’Olivo al Benacense. Strategie per invasione di campo.
La moglie del tizio, di chi parli dello Stambecco? che si è mangiato anche le mutande al Casinò di Venezia. Dov’è finito il tale? Desaparesido, faceva il galletto. La consorte lo chiude in casa. Magari glielo taglia. Come la Lorena Bobbit. Non farmi ridere che ho i “lavri screpoladi”.
“Te se ont come ‘na rana”. “Te ve a onde”. Cameriere, lascia stare, camminare io so, cantano i Dik Dik senza luce. Vino vinello Torboli beviam, intonano i fedeli del vino santo. “Dolce come ‘l melot, roba da todesche”.
Una grappa macchiata caffè, grazie. Monte Grappa, tu sei la mia patria. Il picco rosso del Foletto, Valdiledro per far alte le glorie. Grappa Bocchino, sempre più in alto! dice in tivù Mike Bongiorno calato con l’elicottero sul Cervino.
Vedo doppio. Sta’ fermo, stupido bicchiere, che “te ve avanti e ‘ndrìo sul bancom”. Chi ha spostato la maniglia della porta?
Tipi da bar, balle da bar. Nel senso di storie da millantatori incalliti, ma dai “cala Trinchetto”, e “bale” con una elle, quelle “da foc” da “embriagoni”.
La sbornia allegra e quella triste. Il tizio che piange e non sa perché. La moglie, alle sei in punto, fa il giro delle sette chiese, dei sette volte sette bar rivani, raccatta il marito e lo porta a casa sottobraccio. Passa la Samaritana, buona quella! Complici etilici scuotono la testa. E non riescono più a fermarla. Non la Samaritana, è la testa che ha preso l’onda giusta.
Briscola, tresette col morto, scala quaranta e ancor più su. Ho colore e anche un po’ calore. Il tale sta in piedi. Dietro i giocatori. Bicchiere in mano. Tutta la sera. Non si perde una partita. I giocatori fanno l’occhiolino, o si grattano. Fumano come turchi. Il bar è una camera a gas.
Anni andati sulle nuvole, come tanti bei bar di una volta. Il tempio delle amicizie più belle. Confidenze, baci e abbracci, pacche sulle spalle e sulle palle.
Tipi da bar che non moriranno mai, storie epiche da regalare ai posteri. La Lollobrigida mi fa impazzire. Ma anche la Sofia Loren, vuoi mettere? Io la metterei sdraiata… e giù tutti a ridere come matti. Ahia che botta! Mi è venuto addosso il pavimento. Un altro giro, stavolta pago io.
C’erano una volta i bar. Tutti abbiamo un bar da piangere.
Vittorio Colombo


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