L’ultima regata di Italo, poi a Sant’Andrea alzò le vele al cielo
“Spero, e te convèi speràr anca ti, che mi mora den colp perché se no te dovrè portarme tuti i dì col carét fin al me lac” diceva papà Italo al figlio Gianni Torboli, diventato campione di vela grazie agli insegnamenti del padre. Italo era un vulcano di simpatia e rivanità e aveva un cuore grande come la Rocchetta. Tante storie divertenti le abbiamo raccontate, oggi è il giorno della commozione e dell’umanità, l’altra faccia dell’indimenticabile Italo. Partecipò alla regata sociale del 10 ottobre del 1990 e, poco dopo più di un mese, morì. Era il 30 novembre, il giorno di Sant’Andrea, il giorno della fiera con i capussi, il torrone e le tradizionali trippe.
Anni Cinquanta, Sessanta e decenni successivi. La famiglia Torboli vive in piazza San Rocco che dista pochi passi dal lago. Ad appena un refolo di vento c’è la Centrale idroelettrica del Maroni, dove l’Italo lavora. Dall’altra parte, passata la Rocca, si arriva alla Fraglia. Sono Casa, Centrale e Fraglia le boe che segnano la regata esistenziale di Italo, già portiere agile come un gatto, nuotatore nella Benacense, gran ballerino, sempre pronto alle mattate con i goliardi della “Rumorosa” del Cillo Bombardelli.
“Papà – dice Gianni – alle 12 spaccate si piombava fuori dalla Centrale. Alle 12.05 era a casa, tre minuti per mangiare, scatto in bici e parcheggio della stessa all’olivo della Fraglia. A mezdì e ‘n quart la sua barca “Mimma”, vele all’Òra, si regalava il lago. Quando mancavano 20 minuti alle 14 la Star arrivava al pontile di legno da lui costruito e io dovevo essere pronto. Papà partiva come un razzo per la Centrale e il lavoro. Io dovevo ormeggiare e tirar giù la vela. Mi ha insegnato ad avere gran rispetto dell’acqua. Successe con la bufera di Ferragosto del 1966, che scoperchiò i tetti di mezza Riva: si alzò una muraglia d’acqua di oltre due metri. Un cataclisma terribile. Io ero fuori in barca e fu l’inferno. Rovesciai il Fin e mi misi sotto, restando in una cassa d’aria. Fu l’istinto di conservazione. Quando la tempesta si placò, alzai un pezzetto di vela e rientrai. La prima cosa che vidi fu la sagoma di mio padre sul molo. Stava in ginocchio, piangeva e pregava. Abbracciandomi disse: “Adèss, bòcia, te pol nar ‘n dó te vol. Mi nó me preocupo pù”. La Fraglia allora era dei “siori”, mio padre era stato accolto perché sapeva aggiustare e governare. A otto anni volevo uscire da solo con la “Mimma”. Papà, dopo la terza volta, mi disse: “L’è l’ultima volta perché, se mi vegno for dala Centrale e ghè na bela Òra e mi non gò la me barca, moro!” ”.
Era il gennaio del 1991. Gianni si fece portare al Ponale e, squarciato il fondo, affondò la “Mimma”. Non poteva essere di nessun altro. Dal 1947 al 1990 è stata la barca regina dell’alto lago, la più fotografata ed applaudita per le evoluzioni che incantavano Rivani e turisti. Con questo gesto d’amore Gianni rese omaggio al padre. “Sei stato unico e nessuno dopo di te meritava la tua Mimma”: fu la preghiera che suggellò il rito del sacrificio della Star, che ora riposa sul fondo del tanto amato lago.
Vittorio Colombo