Il cantoniere, la moglie Elvira e la capra in bicicletta
La casa cantoniera al Ponale è a picco sul lago. Vi abitano il cantoniere Giacomo, la moglie Elvira, tre figli e una capra. La capra si chiama Capra. Siamo negli anni del Dopoguerra, anni di fame e fatica. La Capra dava latte, ovviamente di capra, che serviva per sfamare e come ricostituente. Il posto è da cartolina, ma è anche da vertigini. Così un giorno, per dirne una, capita che la mastèla, la tinozza in legno, nella quale veniva lavato il figlio più piccolo, prese a scivolare nel pendio e finì una cinquantina di metri più sotto. Il bimbo venne recuperato, la mastèla anche, l’acqua sporca venne buttata via.
Ma questo non c’entra. Si parla della capra. Un giorno il cantoniere e la moglie non trovano più Capra. Sparita, senza neppure lasciare un litro di latte. Disperazione… ma non si può piangere sul latte versato. Così spargono la voce a carrettieri, pescatori, vagabondi: “Chiedete in giro se hanno visto Capra”. Ci spostiamo di almeno una ventina di chilometri. Non in linea d’aria, ma si deve salire a quota cinquecento metri, dove c’è il borgo di Tignale, quello con il Santuario da vertigini. Si arriva facendo la Gardesana Occidentale, poi si prende il bivio e si sale in quota fino al paese, terrazza sul lago. Il prete nel corso della Messa della domenica dice: “È arrivata in paese una capra. Non è nostra. Da buoni cristiani dobbiamo cercare il proprietario e restituirla”. I fedeli borbottano. Alcuni la vorrebbero fare arrosto o metterla in produzione lattearia a beneficio dei Tignalesi (boh?). Ma il prete dice: “Andate da tutte le genti del Lago e annunciate l’arrivo della capra. I proprietari si facciano avanti”. In tutto il versante trentino e bresciano non si parla d’altro: “A Tignale c’è una capra che è di chissà chi. Ma fa un buon latte. Ovviamente latte di capra”.
Il cantoniere e la moglie esultano. “È di certo la nostra Capra!”. Come sarà arrivata a Tignale? Bella domanda. Forse ha preso subito dal Ponale la via dei monti, perché alle capre piace mangiare barattoli e arrampicare sui “crozi” o, forse, ha fatto la Gardesana e poi è andata su come uno stambecco. Senza offesa, Giacomo, il cantoniere, e la moglie Elvira, donna di forte tempra, prendono la bicicletta. È da uomo. Infatti fino al bivio sulla Gardesana pedala Giacomo con sulla canna la moglie. Dal bivio in su pedala la moglie e il cantoniere, che ha un incarico pubblico, siede in canna. Il prete vorrebbe fare un confronto all’americana, mettendo la capra vicino a un bue e a un coniglio. Ma non serve perché loro dicono al sacerdote che si chiama Capra, ed infatti lei scodinzola. Forse contenta, forse no. Voleva vedere il mondo, porcamiseria! Giacomo ed Elvira la tirano con la corda fissata al collo. Capra recalcitra e s’impunta. “Tignale mi piace e non voglio tornare alla casa cantoniera, dove anche le mastèle con i bimbi precipitano di sotto”. Tira che ti tira. Viene notte. Allora i due hanno un’idea. Anche se a Capra non piace. La mettono a cavallo della bici. Seduta, si fa per dire, sulla sella e con le zampe anteriori legate ai due lati del manubrio. Posizione aerodinamica. Si fa come razzi la discesa e poi, su per la Gardesana. Davanti lo stradino Giacomo tiene il manubrio e manovra, Capra bèla (comunque fa il verso della capra) e dietro la moglie Elvira. Costei, stufa di spiegare a tutti quelli che incontravano che cos’era successo, dopo un po’ rispondeva: “Si è messa in testa di fare il Giro d’Italia!”.
Questa, cari amici, è la storia che, a scanso di equivoci, devo dirvi che è vera. Per testimonianza diretta. Non della capra Capra che voleva vedere il mondo e si è ritrovata a imitare Bartali.
Vittorio Colombo