Con la Festa degli Alberi perfino la scuola era bella. Di solito arrivava il 21 marzo, primo giorno di primavera. Tutti contenti, niente lezioni. Ci attendeva il monte Brione, allora spelacchiato per gli insulti di una guerra finita da non molti anni.
Cortile delle Elementari di S. Alessandro. Prima campanella... e via. In fila per due. Finché durava. Alle prime balze del monte eravamo già mandria. Minacciati e strattonati da maestri e maestre. Si prendeva il sentiero a metà “Brióm”. Costeggiava la voragine delle vecchie cave.
Un altro corteo con i bambini della capitale era partito dalle Elementari “Pernici”, aveva scalato il terribile “pont del Radi”, cima Coppi dei rivani. Roba da transumanza delle pecore. Nei giorni precedenti, con il maestro Tullio Santorum o con il temuto maestro Perini, quei poveretti della Forestale, con sede sul retro della vecchia palestra, avevano annaffiato le piantine di abete. Con sudore e lacrime.
A metà monte il “festoso” raduno. Si ricompattavano le schiere. Salivano al cielo, Mozart ci perdoni, i sacri inni: quello di Mameli e quello del Trentino. Poi, che barba, i discorsi. Era flebile, ma dolce la voce di Oliviero Struffi, il direttore didattico dai baffi sbarazzini. A ruota Sindaco e Assessore. Quindi il prete, don Erardo Betti, titolare di zona. Benediva, senza far preferenze, piantine e pianta-grane.
C’erano, in divisa, il guardacaccia Pasolli e gli agenti della Forestale con l’attivo Carloni. Le file di buche già scavate erano l’invidia delle talpe. Il bimbo della “messa a dimora” era un secchione. O un raccomandato. Di raro uno che si era fregato le piantine. Lo “tiravi fuori” di colpo: teneva la piantina come fosse una cacca di cane. Partiva l’ordine. E i prescelti imbucavano le piantine. Il forestale dava due belle palate di terra. Partiva l’applauso. E la piantina si coricava su un fianco. Da piangere.
Le balze del Brione brulicavano di ragazzini “sbarài for dal canóm”. Finalmente scoccava l’ora della nostra vera Festa degli Alberi. Come in un miraggio arrancavano, venendo su per la strada bianca che saliva da porto S. Nicolò, un’Ape e un camioncino. Poi una seconda Ape. Si arenavano nello spiazzo ed i mezzi erano presi d’assalto. Una calca infernale. Spintoni e calci. Le “Zuchelone sisters”, la Giuliana e la Dina, immergevano le muscolose braccia nei loro cestoni. Con dentro spesso il gatto del panificio. Pescavano e distribuivano, tra sorrisi Durbans e sberle stellari, le “fugazéte”. Milioni di mani tese. Si svuotavano in un amen anche le cassette di bibite poste sul cassone del camioncino. Che delizia le aranciate e le “gazose” del Pesarini, impreziosite dalla “balòta” sotto il tappo corona! E si beveva a piccoli e gioiosi sorsi per far durare la grande goduria.
La Festa degli Alberi era un rito condiviso. Ad Arco sul monte Baóne gli alunni erano accompagnati, tra gli altri, dal maestro Mancabelli. A Torbole la Festa si svolgeva sulle allora brulle Busatte. Forse qualcosa del genere si fa ancora. Ma non c’è gara. Volete mettere? Con le “fugazéte dele Zuchelone” e le “gazose” con “la balota” del Pesarini? Che cantavano quei capelloni dell’Equipe 84? Ah! Ecco! “Nel cuore, nell’anima”.
Vittorio Colombo