Luna che sorgi, luna che cali,
oggi al mio amore hai dato i natali.
Luna calante, luna sorgente,
guardalo sempre e sii sempre presente.
La vecchia di canzoni così ne sapeva a centinaia. I capelli bianchi, cotonati e stanchi come piume appassite, incorniciavano due occhi azzurri che avessero potuto – aver avuto la forza, il senso, o quantomeno il volere – ti avrebbero letto l'anima e l'avrebbero corretta al meglio nell'atto di un secondo.
Mio figlio sembrava perfettamente a suo agio, tra quelle braccia magre e martoriate dalle flebo, e io gli invidiavo quella misurata tranquillità che si stava consumando tra una succhiata e l'altra del suo indice. Riflessivo, così, come un minuscolo pensatore che si ficca in bocca un dito per tenere più alta la soglia di concentrazione durante un'importante scoperta.
Proprio mentre spostavo il mio peso da un piede all'altro e cercavo una posizione disinvolta per le braccia, la bisnonna aveva ricominciato.
Bel piccinin, d'oro e d'argento,
fa' un bel sorriso, e sii sempre contento,
qui c'è la mamma, qui c'è il papà,
e il buio di notte mai più tornerà.
Dov'è suo padre?" - mi aveva chiesto, con un filo di voce.
"Al lavoro." - avevo risposto io, evasiva.
"Quello vero." - aveva specificato, con un'occhiataccia.
Io avevo abbassato lo sguardo, sperando non avesse sentito nessuno.
"Al lavoro anche lui." avevo aggiunto, sentendomi parlare ma non riconoscendo la mia voce.
Mai, mai, mai avrei ammesso una cosa del genere davanti a nessuno.
Nemmeno davanti allo specchio.
Ma davanti alla mia bisnonna, una vecchia gallina centenaria ormai sotto dialisi da mezzo secolo e costantemente rimbambita dal Lasix e dal Toradol, non c'era bisogno di aggiungere bugie all'omertà di verità scomode.
"Gli assomiglia." aveva aggiunto, con quello che sembrava l'ombra di un sorriso.
Io avevo sorriso di rimando.
"Ma che dici? Come fai a saperlo, se non l'hai mai visto?" le avevo chiesto, accarezzandole la spalla.
"Ho visto te. E questo piccolo non ti assomiglia."
Stretta al cuore. Dolore o compiacimento? Fosse assomigliato a me, sarebbe stato un cavallo bizzarro e scuro. Lui, invece, è l'onda del mare che porta la schiuma tra i sassi.
E, mentre ti bagna le scarpe nuove, se ne va pizzicandoti il sedere tra l'eco di mille risate nel cielo.
Ero tornata a casa spingendo la carrozzina attraverso i viali alberati della nostra città in ottobre, ancora calda eppure già così malinconica – il profumo dei tigli al termine della fioritura – e una volta raggiunto l'ingresso, avevo lanciato le scarpe in un angolo e l'avevo messo a letto.
Le lenzuola di mussola, fresche e profumate, sembravano dargli fastidio.
"Sei proprio figlio di tuo padre..." mi ero sorpresa a dirgli mentre lo prendevo di nuovo tra le braccia "...senza di me non riesci a stare, vero?"
Gli avevo sorriso. Lui, di rimando, mi aveva donato un piccolo rigurgito e si era finalmente rilassato sulla mia spalla.
Avevo iniziato a canticchiare una nenia sarda, qualcosa di lontano nel tempo che avevo sempre tenuto nel cuore.
"Nemmeno io, riesco a stare senza di lui..." gli avevo sussurrato baciando quella nuca calda e setosa, dal profumo di pane.
"Nemmeno io."
L'avevo messo di nuovo nella sua culla, poi avevo spalancato la finestra ed ero saltata lì – sul cornicione.
Sotto di me il nulla.
Dietro di me, tutto.
"Cosa cazzo pensi di fare?" la nonna mi avrebbe sicuramente fermato.
Ma la nonna non c'era.
Il sandalo di cuoio aveva spostato qualche piccolo brandello di intonaco.
Non l'avevo visto cadere.
Non mi interessava più.
Non mi interessava più niente.
"...fa' un bel sorriso, e sii sempre contento,
qui c'è la mamma, qui c'è il papà,
e il buio di notte mai più tornerà..."
Il suo pianto mi aveva svegliato da quell'orrendo torpore.
Ero scesa dal cornicione a fatica, la gonna annodata dietro alle ginocchia.
"Non piangere... non devi piangere... andrà meglio... ci andrà meglio, vedrai..."
Le sue mani, quel minuscolo esempio di ingegneria e magia, mi avevano toccato il viso e si erano bagnate delle mie lacrime.
A otto giorni di vita un neonato non sa distinguere i colori, a stento riconosce il volto della mamma, perciò – a meno che siano forti dolori alla pancia – non sa nemmeno sorridere.
Eppure lui mi aveva sorriso.
E in quel sorriso avevo visto tutto.
Tutto ciò per cui sarebbe valsa la pena restare.