San Rocco tra “sgnapa”, anguriate e “babe” al cianuro

Vittorio Colombo17/08/20255min
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Quando ancora il rione San Rocco, cuore storico di Riva, era un concentrato straordinario di umanità, la festa di San Rocco, il 16 agosto, era un evento al quale partecipava tutta Riva. Coloro che vi abitavano andavano in fibrillazione già nei giorni precedenti. Grossi pali venivano piantati lungo la linea che separava la parte della piazza in terra battuta da quella con i ciottoli. I pali, di circa sette metri di altezza, venivano foderati di “verdo” e di “spinasórsi”, cioè i pungitopo dalle belle bacche rosse. Gli adulti sistemavano i pali e razziavano il “verdo” sulla Rocchetta. Dalla cima dei pali, una volta sistemati, partivano festoni di catenelle di carta multicolore (foto Arch. Massimo Chizzola). Se ne occupavano i bambini. La colla, ricavata dalla cottura di farina bianca, imbrattava paurosamente facce e abiti.
Lunghe serie di “globi a soffietto”, pure di carta colorata, venivano appesi alle catenelle. La sera della festa venivano illuminati con una candela accesa al loro interno. Sul davanzale delle finestre venivano esposti “mòcoi” (pezzi di candela), tappeti e lenzuola. La cappella del Santo, posta nella nicchia sopra l’altare, oggetto di vandalismi tutto l’anno, veniva lucidata con olio di lino. Riacquistava così un aspetto dignitoso, ma il pane che il cane teneva tra i denti, rotto da una pallonata, non era mai stato rimesso a posto. Il pavimento a piastrelloni, bianchi e rossi, veniva lavato più volte, l’altare ripulito e coperto con un lenzuolo bordato con pizzo bianco. Veniva pure pulita con nafta e raddrizzata la cancellata della cappella, davanti alla quale veniva sistemata una doppia fila di banchi. Nel mezzo faceva bella mostra un tavolino, pure con tovaglia di pizzo, sul quale una cassetta presentava la scritta “Pro San Rocco”, che veniva subito sostituita dal messaggio “Pro sgnapa, Tal dei Tali”, con tanto di nome del bevitore poco santo.
La “patrona” era la signora Marina Bellotti, che in quei giorni si faceva in quattro. Il giorno della Festa la piazza era gremita di gente giunta da tutta Riva. L’intento era quello di divertirsi e di ammirare ma lo scopo, lo sapevano tutti secondo il classico vezzo rivano, era quello di criticare organizzatori e addobbi.
Il momento atteso si aveva la sera, dopo la celebrazione della Messa e il canto delle Litanie. Apparivano, infatti, un paio di carrettini, carichi di angurie. Si scatenava intorno una gran ressa a contendersi le prime fette, a prezzi irrisori. Il frutto, proprio in quei giorni, raggiunge il massimo della maturazione. Dopo la scorpacciata seguiva la rituale battaglia fra i ragazzi con lancio di bucce e sputacchi di semi, e non solo. Strilla e urli, e ad essere prese di mira senza pietà erano soprattutto le ragazze. Alimentati dal succo ingerito, incontinenti “pissóni” non avevano pietà per i muri più nascosti. L’olezzo restava poi nell’aria per parecchi giorni.
Per la Festa doveva restare sgombra anche la metà della piazza con fondo a ciottoli. La destinazione normale era parcheggio per i carri, trainati da muli, cavalli e buoi, che facevano la spola con la valle di Ledro. In occasione delle Fiere la sosta si prolungava. Allora gli animali trovavano ospitalità presso le stalle del Marinelli, in cima al vicolo. La Festa era, inoltre, il trionfo delle “babe” (donne impiccione e pettegole). Succedeva ogni giorno, ma il 16 agosto non c’erano limiti. Chiunque entrava, ad ogni ora, era sottoposto al controllo da parte di occhi che sbirciavano da dietro le tendine delle finestre. Erano gli occhi delle “babe”. Le informazioni carpite venivano elaborate ed esagerate come si deve. Era la materia ideale per pettegolezzi, che spellavano vive le persone prese di mira. Le “babe” erano le professioniste del veleno e il giorno di San Rocco era conosciuto da tutti i caustici Rivani come “La festa delle Babe al cianuro”.
(Dai ricordi di un ex ragazzo di San Rocco)
Vittorio Colombo