La profonda analisi di Giulia sulla violenza: rompere il silenzio, capire, comprendere e prevenire

Redazione25/11/202418min
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Perché parliamo di violenza di genere? Argomento ormai che troviamo banalizzato nella nostra limitatezza di pensiero, insito nella nostra cultura, un fattore che vorremmo cambiare ma non ci sono i presupposti per farlo.
Su questo argomento diamo spazio al testo del podcast realizzato dal Giulia Romeo, studentessa del Quinto allo al liceo Classico “Andrea Maffei” di Riva del Garda che ci accompagna in un viaggio per riconoscere i segnali della violenza, capire come si sviluppa e, soprattutto, come possiamo prevenirla. E lo farà parlando di strumenti utili come il Four-Color System, il mito del “Bad boy” e il modello delle sei fasi della violenza.

“Perché parliamo di violenza di genere? Vi siete mai chiesti come una relazione sana possa trasformarsi in qualcosa di tossico? Non sempre c’è un evento emblematico: spesso ci sono segnali sottili. Può partire da un commento controllante, un’apparente gelosia, una piccola mancanza di rispetto. E prima ancora che possiate accorgervene, siete in un vortice. E sapete qual è la cosa più subdola? La violenza di genere non è sempre fisica. C’è quella psicologica, economica e perfino sociale. Vi faccio un esempio: quando qualcuno cerca di isolarvi dai vostri amici o vi fa sentire in colpa per ogni cosa, vi fa sentire sbagliate, inadeguate, attribuendovi appellativi gratuiti… anche questa è violenza, anche se non lascia lividi fisici ma ferite dell’anima.
Vorrei citare un esperto comportamentale svedese, Thomas Erikson, e parlare del Four-Colour System, in italiano il sistema dei quattro colori, reso famoso proprio da Erikson nel suo libro Surrounded by Psychopaths, ossia “Circondati da psicopatici”. Il sistema è progettato per migliorare la comunicazione e la comprensione tra persone con stili di comportamento diversi. Questo modello è uno strumento che ci può offrire dei campanelli d’allarme per riconoscere dinamiche relazionali potenzialmente pericolose. Erikson spiega che ognuno di noi può essere classificato in base a quattro colori, determinati dai tratti predominanti della personalità. Il suo obiettivo non è incasellare le persone, ma aiutarci a interpretarne i comportamenti.

Vediamo i colori:

Rosso: l’energico, il competitivo, il diretto. Ha un forte desiderio di controllo. Un rosso tossico potrebbe diventare autoritario, manipolando o intimidendo per ottenere ciò che vuole. Un esempio di rosso? Miranda Priestley da “Il diavolo indossa Prada”. Miranda incarna il tipo rosso attraverso il suo stile di leadership deciso e forte.

Giallo: il socievole, l’entusiasta, il comunicativo. Ma un giallo manipolatore potrebbe usare il suo fascino per convincervi a fare cose contro la vostra volontà. Forrest Gump è un esempio positivo di giallo perché nonostante le sfide e i contrattempi, rimane sempre positivo e conquista le persone con la sua natura calda e accogliente.

Verde: il calmo, l’affidabile, l’attento ai bisogni degli altri. Però, quando è problematico, il verde può essere passivo, evitando conflitti anche di fronte a situazioni di violenza. Ad esempio Samwise Gamgee da “Il Signore degli Anelli”, Sam sostiene Frodo nel suo pericoloso viaggio, non attraverso la forza fisica o gli ordini, ma attraverso la cura costante e il sostegno emotivo. Il suo modo calmo e riflessivo di risolvere i problemi ed evitare i conflitti sottolinea la sua personalità verde.

Blu: l’analitico, il razionale, l’orientato ai dettagli. In una versione tossica, il blu potrebbe sfruttare la logica per screditare i vostri sentimenti, facendo sembrare le vostre emozioni irrilevanti. Sherlock Holmes della serie “Sherlock” è il simbolo del tipo blu. Il suo approccio metodico ai puzzle e la mente analitica gli permettono di risolvere casi complessi che spesso sembrano incomprensibili agli altri.

Attenzione però, nel Four-Colour System di Thomas Erikson, ogni persona non è mai “solo di un colore”. Si tratta di un sistema che rappresenta le tendenze comportamentali prevalenti, ma tutti noi possediamo tratti di ciascun colore in proporzioni diverse.
La preoccupazione deve emergere quando il comportamento è così dominato da un solo colore da diventare disfunzionale o dannoso per sé stessi e per gli altri. È importante cercare di bilanciare i tratti dominanti con elementi degli altri colori per sviluppare un comportamento più flessibile e adattabile. Erikson ci offre strumenti concreti per identificare comportamenti eccessivamente di un colore che risultano manipolativi, e che spesso sono precursori di relazioni tossiche o violente come ad esempio il controllo del rosso, che si presenta quando qualcuno usa pressioni o ordini, imponendo il proprio punto di vista senza lasciare spazio a discussione, è un segnale di allarme per il rosso. Una frase esempio: “Devi fare così, altrimenti se succede qualcosa è colpa tua.”
Il fascino del giallo può essere pericoloso invece quando qualcuno usa il proprio carisma per distrarvi o sminuire le vostre preoccupazioni. Potrebbe dire: “Ma dai, sei troppo sensibile, stavo solo scherzando!”
La passività verde è tipica di un partner o amico verde tossico che potrebbe non supportarvi, evitando conflitti anche quando dovrebbe difendervi. Frasi come: “Non voglio entrare in mezzo, risolvetevela da soli” sono comuni nei verdi tossici e possono lasciarvi soli.
Infine la freddezza blu che è spesso mascherata come razionalità. Potrebbe dire: “Stai esagerando. Non è successo nulla di grave.” Questo potrebbe essere un tentativo di farvi dubitare della vostra percezione. Erikson ci consiglia di diventare osservatori attenti e di non sottovalutare mai l’istinto di ognuno di noi.
Quattro i suggerimenti pratici che possiamo applicare:
1. Imparare a dire no: soprattutto ai “rossi” e ai “gialli” manipolativi, che cercano di farvi fare qualcosa contro la vostra volontà. Un “no” deciso può interrompere il ciclo di controllo.
2. Non farvi sminuire: se qualcuno usa il sarcasmo o vi fa sentire in colpa per le vostre emozioni, fermatevi e chiedetevi: Questa persona rispetta ciò che sento?
3. Cercare il supporto di persone “verdi sane”: individuate nella vostra vita chi è empatico e affidabile. Queste persone possono offrirvi un aiuto concreto per uscire da situazioni difficili.
4. Individuare i loop tossici: Erikson sottolinea che i manipolatori usano cicli ripetitivi per indebolirvi. Se vi sentite sempre nella posizione di dovervi giustificare, potreste essere intrappolati in una dinamica manipolativa.
Questo sistema è un modo abbastanza accessibile per allenare il nostro radar sociale. Come dice Erikson, i manipolatori sono spesso molto bravi a nascondersi, ma se impariamo a osservare attentamente, possiamo intercettare i segnali prima che diventino gravi.

Perché talvolta succede invece di essere attratti da questi “casi umani”?
Esiste quella che amichevolmente è chiamata: La ricerca del partner perfetto. Che per alcuni può essere la ricerca di qualcuno categorizzato come “non caso umano” ma per molti “l’oscuro è affascinante”. Ma da dove nasce? Questo desiderio è profondamente radicato in noi, e spesso è influenzato da messaggi culturali e sociali che ci accompagnano fin dall’adolescenza. Molti romanzi, film e serie TV presentano una visione idealizzata delle relazioni, dove l’amore sembra poter superare qualsiasi ostacolo. Pensiamo a storie come After di Anna Todd, che descrive un amore tormentato tra due personaggi profondamente diversi. Qui il protagonista maschile è spesso freddo, irascibile, persino tossico, ma allo stesso tempo la relazione viene romanticizzata come se il suo cambiamento dipendesse esclusivamente dall’amore della protagonista femminile. La narrativa romantica tradizionale ci insegna infatti che il “vero amore” può risolvere
qualsiasi problema, anche comportamenti distruttivi. Frasi come “se non è geloso, non ci tiene” rafforzano questa idea. Ciò porta a tollerare comportamenti critici in nome del “vero amore”.
Alcuni elementi ricorrenti nelle storie d’amore che idealizzano relazioni problematiche sono:
Il partner dominante con un protagonista maschile rappresentato come autoritario, imprevedibile, che alterna momenti di affetto a comportamenti tossici. Questo crea un ciclo di dipendenza emotiva, molto simile al ciclo della violenza, di cui parlerò tra poco.
La gelosia come segno d’amore che viene interpretata come una prova di interesse e passione, quando in realtà è spesso un segnale di controllo.
Il mito del salvatore: L’idea che l’amore possa “salvare” una persona e farle superare i propri traumi o problemi personali. Questo carica la protagonista (solitamente femminile) di un peso emotivo insostenibile, trasformandola in una sorta di terapista o redentrice.
La normalizzazione della sofferenza: Questi racconti spesso trasmettono il messaggio che per vivere un grande amore sia necessario tollerare dolore, abusi o manipolazione.
Questa narrativa è pericolosa? Bisogna ammettere che la visione romantica di un uomo “problematico” che cambia grazie all’amore è altamente rischiosa nella vita reale. Un uomo violento non cambia solo perché ama: le ricerche dimostrano che comportamenti tossici o violenti sono radicati in atteggiamenti profondi e richiedono percorsi di cambiamento complessi, spesso attraverso terapie specifiche. Molte ragazze crescono con l’idea che possano cambiare il loro partner se lo amano abbastanza o se sono pazienti. Questo porta a tollerare situazioni di abuso, con la speranza che la relazione possa migliorare. Ma la realtà non è un romanzo: nella vita reale, una relazione sana si basa sul rispetto reciproco, non sul controllo o sulla manipolazione.

Spezziamo il mito del “bad boy” che è affascinante nella narrativa, ma distruttivo nella vita reale. È importante riconoscere che il cambiamento, quando possibile, deve partire dall’individuo stesso e non può mai essere imposto o forzato da un partner. Una relazione sana non vi fa soffrire. Se una relazione vi fa sentire intrappolati, confusi o sminuiti, non è amore. In generale in una relazione è sempre importante ascoltare il proprio partner: in inglese esiste il verbo to feel, che significa percepire, ma anche sentire, ascoltare.
Una volta ho usato questo verbo per spiegare come sentono la musica i ciechi, noi dobbiamo imparare a fare la stessa cosa, dobbiamo imparare a “to feel” le persone intorno a noi, indipendentemente da ciò che ci sembra chiaro ed evidente ai nostri occhi, in modo da riuscire a costruire intorno a noi un circolo virtuoso, non vizioso.

Il ciclo della violenza esiste davvero. Non possiamo ignorare questa realtà, e non possiamo confonderla con un romanzo, Francesca di Dante ce lo dovrebbe avere insegnato. Il ciclo è spiegato nelle sue sei fasi della violenza da Lenore Walker Questo modello è diventato uno degli strumenti più utilizzati per comprendere le dinamiche delle relazioni tossiche e violente.
Il lavoro di Lenore Walker è basato sull’osservazione di schemi ricorrenti nei comportamenti di partner abusanti e sulle esperienze delle vittime, raccolte attraverso interviste approfondite e analisi psicologiche. Walker ha descritto il ciclo della violenza in diverse fasi. Questo ciclo non è lineare: può ripetersi, intensificarsi e variare in durata e intensità.
Ecco come funziona:
C’è una prima fase di accumulo della tensione: questa fase è caratterizzata da una crescente tensione nella relazione. Il partner abusante diventa più critico, irritabile o distaccato.
Le vittime spesso cercano di “calmare le acque”, assumendosi la responsabilità del conflitto e minimizzando i segnali di allarme.
Poi c’è l’episodio di violenza dove la tensione esplode in un atto di violenza fisica, verbale, psicologica o sessuale.
Questa fase è spesso improvvisa, lascia la vittima confusa, spaventata e impotente. La terza è una fase di scarico o negazione: dopo l’episodio di violenza, l’aggressore può mostrare segni di indifferenza o giustificare il proprio comportamento. Frasi come: “È colpa tua se mi sono arrabbiato” sono comuni in questa fase.
Poi c’è la fase della luna di miele: qui l’abusante si mostra pentito, amorevole e promette di cambiare. Spesso regala fiori, fa promesse grandiose o si scusa profusamente. Questo comportamento inganna molte vittime, facendo credere loro che l’episodio di violenza sia stato un caso isolato.
Si passa quindi alla ricostruzione della relazione: durante questa fase, la vittima cerca di ricostruire la normalità, convincendosi che il partner può davvero cambiare. Questo periodo può durare giorni, settimane o mesi, ma la tensione inizia lentamente a risalire.
E infine il ritorno della tensione: la relazione torna al punto di partenza, con l’accumulo della tensione che prepara il terreno per un nuovo episodio di violenza. E l’inizio di un nuovo loop.
Walker ha iniziato il suo lavoro di ricerca intervistando centinaia di donne vittime di violenza domestica. Le loro storie hanno rivelato un pattern ricorrente: un alternarsi di momenti di abuso e apparente calma, che rendevano difficile alle vittime lasciare il partner.
Questo ciclo si ripete perché l’abusante usa la violenza non solo come strumento di controllo, ma anche come meccanismo per mantenere il potere nella relazione. La fase della “luna di miele” è particolarmente insidiosa, perché alimenta la speranza di cambiamento e tiene la vittima intrappolata in una spirale di dolore e aspettative deluse. Capire le fasi della violenza è fondamentale per spezzare il ciclo. Molte vittime restano intrappolate perché credono che il partner possa cambiare, oppure si sentono in colpa o incapaci di uscirne.
Ma è importante sapere che:
La violenza tende ad aumentare: dato che ogni ciclo diventa più breve e intenso.
Non è colpa della vittima. È l’abusante l’unico responsabile del proprio comportamento.
Chiedere aiuto è possibile.

Ora vi chiedo: quanti hanno visto segnali di violenza ma hanno pensato “Non è affar mio” oppure “non è compito mio denunciare”?
Rompere il silenzio è difficile, lo so. Ma ogni volta che ignoriamo questi segnali, li rafforziamo. Invece, dobbiamo offrire ascolto senza giudizio, segnalare situazioni sospette alle autorità competenti, condividere informazioni utili, come il numero 1522, sempre attivo e gratuito ed imparare a riconoscere i segnali di richiesta di aiuto, come il pugno chiuso e riaperto.
Nel nostro Liceo abbiamo anche la figura della psicologa, e due figure di counsellor di ascolto. Non si tratta solo di un supporto tecnico, ma di persone che, con ruoli e competenze diverse, ci sanno ascoltare in totale riservatezza e in modo empatico e non giudicante.

In conclusione: è una questione di rispetto. è un problema culturale che trova le sue origini nel patriarcato: ruoli di genere stereotipati, linguaggio sessista…
Prevenire la violenza significa promuovere la cultura del rispetto reciproco dove tutti, nel nostro quotidiano, siamo responsabili. Il rispetto è un concetto che tutti dovremmo conoscere, ma gli innumerevoli fatti di cronaca ci dicono che abbiamo ancora molto da imparare.
Non si tratta di cercare il partner “perfetto” o di cambiare gli altri. Si tratta di essere consapevoli, di dire “basta” quando qualcosa non va, e di ricordare che non siamo mai soli. Se questo podcast vi ha fatto riflettere, condividete le informazioni, parlate. Potremmo insieme raggiungere chi ne ha bisogno, fosse anche solo una donna.
E ricordate: non vergognatevi nel chiedere aiuto, rendere visibile l’invisibile è il primo passo per cambiare le cose.

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