Sant’Andrea, la fiera dei ricordi perduti

Vittorio Colombo26/11/20235min
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La fiera di Sant’Andrea è, per un giorno, un modo diverso di vivere la città. È una occasione per far festa, mescolarsi tra la gente, spintonarsi, provare il contatto fisico come lottatori sbattuti a combattere una folla impenetrabile. Rischiare di essere infilzati da un ombrello, ritrovare il tipo che non vedevi da anni… “Oh, ma sei sempre quello di dieci anni fa”, e non è vero, salutare… “Cavolo! come devo essere cambiato anch’io, era S. Andrea quando…”.

Lasciarsi portare dal “serpentone” di gente, un campionario di varia umanità, che scorre strillando tra due ali di bancarelle che disegnano una città che è da Paese dei Balocchi. Esiste così solo dal giorno di Sant’Andrea una fila ininterrotta di banchetti e tettoie, un tripudio di colori, odori, sapori, una sagra di richiami, di urla, di proposte, una mescolanza di dialetti, di termini che non sentivi da una vita… e il torrone, le mutande di lana, il pappagallo, il set di chiavi inglesi, e ancora il torrone, quello bianco a blocchi, che fa staccare la dentiera al nonno, e il mandorlato, e i palloncini colorati che scappano di mano ai bambini e disegnano di fantasie il cielo. Per tutti la fiera di S. Andrea è un richiamo al senso del tempo, al trascorrere delle stagioni, perché nessun’altra festa popolare a Riva è così attesa, così legata ai ricordi delle varie età della vita di ciascuno. Si andava alla fiera da piccini con i genitori, poi… le scuole chiudevano i battenti alle 10 e si andava a zonzo con gli amici a far dispetti complice la calca, poi ancora con la famiglia, con la moglie, la suocera, portandoci magari i figli o i nipoti, arrancando con la carrozzina, usata come ariete per aprire un varco nella falca.

Ogni ciclo della vita coincide con la ricorrenza di una fiera, che spesso segna un brusco cambiamento di tempo: Sant’Andrea porta nell’aria un sapore di dolci, ma anche un sentore di freddo, di foglie già cadute e l’inverno non è ormai solo promessa. In molte occasioni a S. Andrea è caduta la prima neve dell’anno, certe volte è arrivata la pioggia… ma non c’è una regola. S. Andrea è l’incontro con la gente che viene dai paesi vicini, che riparte all’imbrunire carica di pacchetti, è una città felicemente sotto assedio; e si comprano cose superflue, ninnoli che non si useranno mai. S. Andrea è qualcosa di immutabile. Si sa che c’è e resiste a dispetto di tutto e di tutti, è una festa degli incontri, sono le stagioni delle nostre vite che cambiano e sono i nostri occhi, anche quelli dell’anima, che colgono le trasformazioni, che fanno nostalgia, perché la fiera di S. Andrea è sempre bella, ma non è più quella di una volta. Il torrone a chili, i mutandoni di lana, il profumo “odetualette” e la “giostrera” truccata che, … “Dai! spara che vinci due pesci rossi!” che poi porti via, agonizzanti, nel sacchetto di plastica. E noi trascurabili comparse di un evento che riempie per un giorno il nostro mondo. Cambia, si trasforma, macina generazioni e secoli, ma resiste, invincibile. Cara fiera di S. Andrea, bella sempre, anche con la neve o la pioggia, dolce pezzo d’anima rivana e, quando le ombre che salgono dal lago fanno comunella con quelle che calano dalla Rocchetta, le luci si fanno fioche nella baraccopoli che va a smobilitare. I tiratardi conquistano il pezzo di torrone della staffa, quasi regalato, e sentono dentro quella tal malinconia già tante volte provata, come quando finisce un film che… “Urca! mi è andato un pezzo di torrone in un occhio, c’è qualcuno che ha un fazzoletto?”.
Vittorio Colombo

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