Troppe emozioni, sembrava morto. Ma l’Aldo “Taióm” resuscitò
Questa ve la voglio proprio raccontare. A fine ottobre di quest’anno, alla colonia Pavese di Torbole, Aldo “Tajóm” Tavernini ha presentato il suo libro “Amo Torbole”. Un successo, del resto il libro edito da Fabio Galas lo merita. Un centinaio di persone in sala. L’Aldo, che va verso i novant’anni, ma che è una roccia e un mito per la sua attività subacquea, raccoglie sorrisi e applausi. Poi decine di persone in fila con l’Aldo che, concentrato, va avanti per un’ora a vergare dediche sui libri e a scambiare parole con i molti amici. Un mare di soddisfazioni, ma anche una gran fatica emotiva e tanta tensione.
Finalmente la serata finisce in gloria, meglio di così non poteva andare. Ma quante emozioni. L’Aldo non vede l’ora di rilassarsi con una bella dormita. Saluta e raggiunge, è ormai mezzanotte passata, la casa alle Busatte nella quale, vedovo, abita da solo. Le tre figlie vivono con le loro famiglie non lontano, ma mantengono con il padre felici rapporti quotidiani. L’Aldo, stremato ma felice, è super agitato. Una pentola in ebollizione. Una serata così è uno sballo galattico.
Si va verso l’una di notte. Si fa una bella camomilla e si stende sul letto. L’agitazione, però, è un tarlo al lavoro. Conta le pecore, ma il sonno non arriva. Dopo aver guardato per un bel po’ il soffitto, si alza e cerca di scaricare la tensione girando attorno al tavolo, che per poco non fa un solco nelle piastrelle. Non funziona. Le lancette corrono ormai verso le due, poi, esagerano, vanno verso le tre. Necessari rimedi più efficaci.
L’Aldo prende un bel po’ di gocce medicamentose e, vista la situazione, meglio abbondare. Con negli occhi i momenti di una serata indimenticabile, si risdraia sul letto e il farmaco fa l’effetto desiderato.
Passa la notte e si fa giorno. Le nove. Una delle figlie telefona, come ogni mattina, per sentire come sta e augurargli una felice giornata.
Niente, l’Aldo non risponde. Prova e riprova, niente da fare. Sorge qualche legittima preoccupazione e contatta le sorelle. Anche quelle provano a comporre il numero, ma il risultato è lo stesso. La preoccupazione sale di grado. Una signora che abita nella stessa casa alle Busatte, chiamata in rapido soccorso, procede ad una verifica sul campo. Suona più volte il campanello dell’appartamento dell’Aldo. Niente. Fa anche di più: batte i pugni sulla porta e chiama a gran voce: “Aldo, Aldo!”. Poi, non dandosi per vinta, va in strada e vede che le persiane, nonostante siano quasi le dieci di mattina, sono chiuse. Non è di certo cosa normale. La signora riferisce l’esito dei suoi infruttuosi tentativi alle figlie. Che, a questo punto, temono il peggio.
Vanno tutte assieme, con il cuore in gola e un cattivo presentimento, alle Busatte. Hanno le chiavi dell’appartamento e, sempre più agitate, entrano. L’appartamento è immerso nel buio. Non si sente volare una mosca. Si precipitano in camera da letto.
L’Aldo se ne sta steso sul letto. Vuoi che ha fatto gran parte della notte in bianco, vuoi che le gocce hanno fatto miracoli, se ne sta immobile.
Le figlie sono disperate. Iniziano a piangere come vigne e a esclamare “El papà l’è mort, el papà l’è mort!”. Ma piangono e urlano proprio forte, tanta è la loro disperazione. Altro che squilli del telefono e campanelli!
Troppa è stata l’emozione della presentazione del libro, troppe le dediche firmate, troppi i complimenti dei Torbolani. A volte una overdose di emozione può essere fatale. “El papà l’è mort!” urlano le tre figlie e il lamento filiale è così forte e disperato che lo sentono fino al bar Mecki.
L’Aldo “Tajom”, risorto dal sonno profondo, apre un occhio, poi anche l’altro e, stupito, dice: “Che fé chì tute?”.
Vittorio Colombo