Alla fermata del bus due donne si tengono per mano. Quando arriva il Cinque, una delle due abbraccia l'altra e la accompagna fino allo scalino, io la guardo con la coda dell'occhio, vedo che ha gli occhi lucidi.
"Ciao..." - manda un bacio a quella che, ora che vedo meglio, è evidente sia la sua gemella.
Sono anziane, il cappotto nero col collo di pelliccia, le scarpe con un accenno di tacco e i capelli bianchi.
"Stai attenta..." - le sussurra piano mentre l'altra sorride prendendo un posto a sedere.
Le porte si chiudono, la gemella che vive in città guarda l'autobus allontanarsi mentre quella che vive in campagna osserva la sé stessa rimasta a terra diventare piccola piccola, in lontananza.
Io mi stringo la borsa in grembo e mi metto a pensare ai fratelli. Ai gemelli, in realtà, che sono ancora più fratelli dei fratelli.
Insomma, sono due ma sono uno - fin da quando sono dentro alla pancia della mamma.
La cosa, e qui è molto chiara, non finisce con l'infanzia ma prosegue per tutta la vita.
Ed ecco che, per alcuni grazie alla scienza e per altri per magìa, un'unica entità si spezza in due corpi e così rimane per sempre - due teste bianche, due paia di scarpe con l'accenno di tacco, due cappotti neri col collo di pelliccia.
Guardo la gemella di campagna fissare l'orizzonte dal finestrino e penso che avrà almeno 80 anni e che probabilmente niente è restato della sua gioventù - se non quella sé stessa di città, rimasta a salutarla alla banchina del bus.
Sorrido, e forse lei si accorge dei miei pensieri perché tutto d'un tratto mi guarda.
"È mia sorella... È ansiosa, ha paura di tutto..." - mi dice quasi scusandosi di quell'amore unico che vale per due.
Due donnine minuscole e, nell'insieme, una.