“Riccardino Cuor di Coniglio” e il fantasma di San Pietro
È un sabato e manca poco alla mezzanotte. Tre amici siedono davanti al fuoco che arde nel focolare al rifugio San Pietro sul monte Calino. Uno è il compianto Gianni Colorio che questa storia mi raccontò, l’altro un amico satino e il terzo Riccardo Pinter, gran personaggio rivano, ora ricordato dall’Associazione che porta il suo nome. Pinter, impiegato alla Cassa Malati, collaboratore di Giacomo Vittone nel museo in Rocca, era di casa al rifugio San Pietro. Era un cultore di storie antiche e un affabulatore. Onnivoro di generi era affascinato anche dalle storie paurose. Dunque quella sera, ispirato dal martellare della pioggia e dal vento che ululava fischiando tra le chiome degli alberi, raccontò davanti alla danza delle fiamme le vicende di un fantasma che, da sempre, a suo dire, imperversava sul monte Calino avendo in gran dispetto la chiesetta e il vicino Rifugio.
Del resto il buon Pinter era stato complice di Giacomo Vittone nella storia del fantasma senza testa della Rocca che, negli anni Cinquanta, ebbe fama internazionale. Pinter aveva scommesso con perfidi amici del bar Maroni che avrebbe dormito a fianco della tomba di tegoloni del fantasma nella “sala ieratica” in Rocca. Il fantasma, che di notte spaccava tutto, era un’invenzione di Vittone. Pinter reggeva il moccolo con terrificanti balle che spacciava ai giornalisti. Ci sono due versioni su quanto successe. Secondo alcuni Pinter si defilò dall’impegno, ma per altri lo stesso Pinter, noto come “Riccardino Cuor di Leone” (a guisa del condottiero), entrò in Rocca per trascorrervi la notte. Durò poco. Verso le due del mattino corse fuori alterato accolto dalle risate degli scommettitori che vegliavano sul “Pont dei strachi”. Disse di aver sentito sferragliare delle catene. Si scoprì che il custode Margoni e Vittone erano stati gli autori della burla. I giornali ribattezzarono così il mancato eroe con la nomea di “Riccardino Cuor di Coniglio”. Ma sempre con affetto.
Con questo precedente ecco la storia della notte da tregenda al rifugio San Pietro. Mentre fuori infuriava la bufera, il Pinter entrava sempre più nella parte, sbarrava gli occhi e faceva voci d’oltretomba. La luce era andata via. C’era il fuoco e, sul tavolo, una candela accesa. A un certo punto la fiamma della candela si mise a danzare. Saliva in alto, poi oscillava, poi girava in circolo. Diventava fioca e poi vivissima. Spifferi d’aria o… stupore e qualche brivido. Il silenzio, che non poteva che essere “di tomba”, venne rotto da un urlo del Colorio. Disse, con voce rotta, di aver visto nel buio oltre la finestra una figura biancastra. Solo suggestione? I tre amici liberarono una risata, un po’ nervosa, mitigata dall’ennesimo grappino. Mezzanotte era ormai passata. Era ora e tempo di andare a dormire. Il nubifragio cedette il passo ad una sarabanda di fulmini, lampi e saette. Un bombardamento. C’erano dei precedenti inquietanti visto che il Rifugio era già stato più volte centrato da fulmini. Ci mancavano solo quelli! E chi riusciva a dormire? Così il Gianni e l’amico andarono in cucina per farsi un grappino corroborante. Davanti al fuoco, con una sciarpa bianca sulla testa, c’era una figura inquietante. Stavano per gridare quando l’entità misteriosa si girò: era il buon Pinter “Cuor di Leone e di Coniglio” a seconda delle circostanze che, impressionato dalla sua stessa storia, vegliava sulle sorti del “suo” fantasma personale: il terribile spettro di San Pietro e del monte Calino.
Vittorio Colombo