Mi siedo davanti alla finestra sul fiume, guardo la sera calare su un pomeriggio di fine dicembre e rifletto.
Non torneranno più le domeniche attorno alle luci colorate dell'albero di Natale, ne' torneranno le stelle luminose da appendere al soffitto, i lucernari socchiusi al freddo delle notti del momento più giovane dell'inverno e una pletora di stelle da chiamare per nome - quello scientifico e quello di chi hai amato, sussurrato a filo di labbra in una quieta cantilena.
Non torneranno più le partite a tombola, a briscola , a ruba mazzetto. La noce moscata e la cannella in fondo al cassetto, l'uovo di marmo con cui rammendare i calzini perché nemmeno i calzini da rammendare torneranno più: ormai si buttano e se ne compra degli altri, sempre più sgargianti, sempre meno caldi, sempre uguali a quelli di tutti gli altri.
Sai cosa non tornerà, ancora? Non torneranno le mani sui ferri da maglia, il punto dritto e rovescio e le trecce coi fili argentati, i maglioni di una volta coi disegni gentili e senza scritte stampate - semplicemente caldi in quel modo che a volte era la lana e altre volte le mani che li avevano lavorati.
E noi? Noi nemmeno torneremo più. Sì è persa quella parte di noi che ascoltava Mike Bongiorno mentre giocava coi Lego, quando gli stessi Lego avevano una sola forma, il mattoncino - e non c'erano pezzi speciali con cui realizzare astronavi spaziali, al limite per quelli c'era la fantasia e qualche pallina di carta.
In lontananza, come in un presepe reale e conosciuto, un campanile suona i vespri e mi sfugge un sospiro.
"Che hai, mamma? Va tutto bene?" - mio figlio mi posa una mano sulla spalla, osservo le sue dita farsi grandi di giorno in giorno e mentre a volte mi verrebbe da chiedermi chi sia quest'individuo dall'accenno di barba e la voce roca che vive in camera sua da qualche tempo, adesso lo guardo bene e mi sembra nato da due minuti.
Non tornerà molto di tutto quello di cui sopra, ma verrà altro.
Ed è proprio questo il bello del tempo e della sua unica direzione.