Maurizio Costanzo e la casa delle cento vedove di Dro
Era il 2004, quando vennero i giorni delle “Vedove Allegre”. Così, per qualche bella settimana, la cittadina di Dro ebbe fama nazionale.
Molti droati ne avrebbero fatto volentieri a meno, ma ad accendere le luci della ribalta fu quel mostro sacro della Tivù che risponde al nome di Maurizio Costanzo. E, dunque, accesa la miccia, fu esplosione mediatica. Così “Ca’ del Nemolèr” di Dro divenne per servizi televisivi, giornali locali e nazionali la “Casa delle Cento Vedove”.
“Ca’ del Nemolèr” è una bella costruzione, lascito di un benemerito, immersa nel verde. Nei primi anni Duemila divenne festoso centro di aggregazione per tutti, in particolare per arzilli rappresentanti della “terza età”.
Che c’entra Maurizio Costanzo? Il presentatore teneva allora su Canale 5
il programma dal titolo “Tutte le mattine”, minestrone di talk show e attualità. Una bella mattina, sprofondato nella sua poltrona e circondato da ospiti, Costanzo disquisiva su svaghi di pensionati e anziani. Gli interventi in studio erano intervallati da telefonate di casalinghe e perdigiorno. Una noia mortale fino all’esplosione, fino alla stratosferica telefonata che arrivò dalla ridente cittadina di Dro.
“Che ci vuole? Balli, ballerini e incontri galanti: ecco la formula giusta!” spara in diretta una delle protagoniste delle feste, Luigia Boltri vedova Bosis, detta “nonna Gina”, oggi 99 anni, suocera di Walter Matteotti con il quale vive. “La nostra Ca’ del Nemolèr – dice – è famosa in tutto il Basso Trentino come la Casa delle Cento Vedove. Il tricheco Costanzo balza sul seggiolone, gli ospiti in studio balzellano sui seggiolini. Sobbalzano nei tinelli legioni di telespettatori.
“Che è ‘sta storia della Casa delle Cento Vedove?” bofonchia Costanzo. E la Presidente droata: “Ogni domenica pomeriggio, qui a Cà del Nemolèr, si balla. Eccome si balla! Ci sono schiere di pensionate, in gran parte arzille vedove del paese e del circondario: sono decine e decine. Per forza, com’è risaputo, le donne vivono più degli uomini. Che c’è di male? Ben presto si è sparsa la voce di tanta simpatica disponibilità femminile ai giri di valzer. E i galanti maschietti sono arrivati e arrivano a frotte, di tutti i generi: pensionati, scapoli, ammogliati, ballerini, avventurieri. “Permette un ballo?”. Poi, magari, il valzer è assassino, e da cosa nasce cosa”. Costanzo esulta: “State lì, arriviamo noi!”.
Gli è che, stemprato l’alone pruriginoso e vagamente surreale, la cosa si presentava davvero succulenta per montar su uno spettacolo nazionale. Del resto la fama della “Casa delle Cento Vedove ballerine” era già stellare in tutto il Trentino. Tanto che la domenica pomeriggio si intasavano le strade per il flusso di macchine che si dirigevano a Dro, guidate da pensionati, amanti del ballo dai capelli bianchi o tinti di rosso, o di lucido di scarpe, di “dentierati”, di Rodolfi Valentino che venivano da Nago, Riva, Arco, Mori, Rovereto, da frazioni e da casolari sparsi. Insomma, da tutti i centri del Basso Trentino.
Costanzo cavalcò la cosa da par suo. La domenica successiva alla fatale telefonata un’agguerrita troupe di Canale Cinque, con giornalisti e telecamere, immortalò quello che passò alla storia della Tivù e dei giornali, seriosi e di gossip, come il “Grande Ballo delle Cento Vedove”.
Fu un’apoteosi. Ma non tutti, in loco, ne furono contenti. Mentre una parte di droati ci scherzava su, altri concittadini si incazzarono come vipere per tanta singolare notorietà.
Non era proprio il ballo delle debuttanti, d’accordo, ma non era il caso di metterla giù dura. I “protestanti” temevano che pullman di ballerini e spasimanti di mezza Italia trasformassero Dro in una sorta di Las Vegas delle Marocche. Ci furono mugugni e proteste. Forse ci fu una mozione piccata in Consiglio comunale, forse la Presidente passò qualche brutto momento, forse qualche vedova si risposò, qualche altra entrò in convento. Non risulta che una sia andata nel corpo di ballo “Tuca Tuca” della Carrà.
Vittorio Colombo