L’ultima stella cadente

Rubrica23/11/20225min
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Ed era andata così, non ci si poteva fare niente: l'avevano portata via con l'ambulanza a sirena spenta e lui era rimasto a guardarla allontanarsi attraverso la strada che falciava il campo.
La sera si era fatto scaldare un piatto di minestra prelevandolo dal contenitore che lei aveva messo in frigo la mattina stessa... Quasi aspettandosi ciò che in effetti era poi capitato.
L'aveva mangiato con lento disinteresse, tutto preso ad osservare la tv. Spenta.
Niente gli interessava più, ora che era rimasto... Ora che era rimasto...
La parola gli moriva in gola. Saliva su, fino a dietro alla lingua, e moriva lì - giusto al momento di dirla.
Si era stretto la sciarpa al collo ed era poi andato a mettere a dimora le bestie.
Aveva accarezzato il suo coniglio preferito, quello che non voleva mai ammazzare perché la guardava con quegli occhi buoni.
Beh, buoni un cazzo. Ora lei era morta e quel coniglio era ancora vivo: domani mattina gli avrebbe tirato il collo, perché niente e nessuno avrebbe dovuto sopravvivere a Gemma.
Gemma che era così buona.
Gemma che amava tutto, della vita, Gemma che era l'unica che riusciva a sopportare il suo continuo brontolare e la sua puzza di piedi.
Gemma che era la sua vita, e che ora era... Dov'era, ora? In Paradiso? E poi, cos'era il Paradiso? Esisteva davvero?
Non lo sapeva nemmeno.
Aveva stretto forte la maniglia della conigliera, loro erano al sicuro. E lui, adesso?
Senza di lei, non aveva più senso.
Non ci sarebbe stato più niente - e lui lo sapeva fin troppo bene.
Un passo dopo l'altro, camminando nella nebbia del dicembre nel Polesine, era rientrato a casa.
Aveva messo su il pigiama.
Ed era rimasto a fissare il letto vuoto per qualche quarto d'ora.
La sveglia col suo ticchettìo forte, incurante degli anni che passano, era sopravvissuta a lei.
Un colpo secco e l'aveva schiantata a terra in mille pezzi.
Il suo cuscino di piume, ancora col suo profumo.
L'aveva stretto forte a sé, poi l'aveva strappato in un solo gesto liberando una nevicata di gallina.
Lo specchio dell'armadio in cui Gemma si guardava ogni giorno prima di uscire di casa... L'aveva mandato in frantumi con un pugno ora pieno di sangue e briciole di vetro.
E poi, in fondo, quell 'alberello di Natale che lei aveva già preparato - nonostante fossimo solo al venti di novembre.
L'aveva sollevato da terra con una sola mano, pronto a lanciarlo fuori dalla finestra, quando una minuscola pallina argentata era ruzzolata divincolandosi fuori dai rami ed era finita a terra.
L'aveva spostata col piede, gli occhi liquidi dalle lacrime, poi l'aveva raccolta.
In un colpo, tutto era tornato indietro forte e chiaro come un segnale.
Si era messo la pallina in tasca ed era tornato nella conigliera.
Non aveva senso distruggere tutto ora che Gemma non c'era più. Sarebbe bastato andare via per sempre e mandarli tutti in mona.
Aveva tirato un pezzo di corda al soffitto e ne aveva fatto un cappio, poi aveva detto quelle due o tre parole che si ricordava del Padre Nostro ed era salito sullo sgabello.
E, poco prima di chiudere gli occhi - perché lui era un pavido, e quella coraggiosa era sempre stata lei - l'aveva vista. L'ultima stella cadente della sua vita.
Esprimi un desiderio ma non dirlo a nessuno.
Voglio che torni Gemma, ridammela indietro.
La luce della finestra della cucina era accesa, lui era rientrato e nell'aria c'era odore di torta di mele.
La pallina di natale dell'albero era tornata sui rami, lei cantava qualcosa che forse un tempo ricordava anche lui.
L'aveva stretta forte a sé, lei l'aveva scacciato barbottando qualcosa sul fatto che fossero troppo vecchi, e lui aveva riso coi pochi denti che aveva in bocca.
Domani non avrebbe ammazzato nessuno.
E forse era un sogno, forse era la realtà - in ogni modo in quel momento aveva capito che era proprio quello, il Paradiso.
Roberta Nina Bianchin - autrice, sul web www.robertaninabianchin.it

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