L’Italo sul treno con la barca e i pesci pescati con le mine

Vittorio Colombo09/07/20234min
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Quella volta che… la Riva di una volta è piena di storie. L’antologia personale, che ha come protagonista Italo Torboli, personaggio che, nello spirito caustico, rappresenta il prototipo della rivanità più autentica, è ricca di vicende e trovate, alcune già raccontate e assai note, altre poco o nulla conosciute e perciò degne di essere ricordate. L’Italo è stato un grande velista, un riferimento della Fraglia e uno dei punti forti della promozione di Riva per le straordinarie evoluzioni con la sua barca, la stella “Mimma”, che sfiorava i muretti del molo tra le urla di meraviglia dei turisti e i sorrisi compiaciuti dei Rivani. Per buona sorte il figlio Gianni, gran campione della vela grazie agli insegnamenti del padre, tiene a memoria quella antologia che meriterebbe un libro…
E dunque, per condividere storie straordinarie ed esilaranti, ecco che il Gianni racconta di quella volta che la barca di Italo andò in trasferta a Bari in treno.
C’erano i Campionati italiani in quel di Bari e l’Italo non poteva mancare ad un simile appuntamento. Ma i problemi erano molti e i soldi pochi. Il primo problema era quello di far arrivare il “Dinghy”, la barca con la quale gareggiava, alla stazione di Mori. L’Italo chiamò a raccolta numerosi amici che, caricata l’imbarcazione su un carretto, si misero di buona lena a spingerlo, dalla Fraglia, a Torbole. Quindi la strana compagnia affrontò la salita della Nago e, avanti, Loppio e poi stazione. Il “Dinghy” finì su un treno-merci. L’Italo fece il viaggio fino a Bari a bordo della sua barca che viaggiava letteralmente come un treno e su un treno. Dopo la gara il ritorno sempre in treno. Alla stazione di Mori era pronta la pattuglia di amici con il carretto. Non c’è al mondo un altro velista che sia andato in trasferta per una gara con carretto e treno, andata e ritorno.
Poi c’è la storia della pesca miracolosa. Era il 1958 e sparavano in continuazione mine per completare la galleria Adige-Garda. L’Italo caricava in barca il piccolo, ma già ben robusto Gianni che aveva nove anni, e l’imbarcazione si portava in quel di Torbole, nelle acque prossime all’uscita della galleria nel lago. “Quando sparavano le mine – ricorda Gianni – io dovevo prendere al volo i pesci, e ce n’erano di enormi, che salivano a galla per le esplosioni. La barca quasi affondava tanto era piena di pesci. Il ritorno a Riva era salutato da una folla di amici, con i quali si dovevano spartire le prede. Ben presto la voce si diffuse e mezza Riva affollava piazza Catena per vedere arrivare la barca carica e si scherzava sulla “parabola evangelica” della moltiplicazione dei pesci. Ma si faceva di tutto con la barca”. “Una notte, alle tre – racconta ancora Gianni – siamo andati al porto San Nicolò, dove c’era un tronco di dieci quintali, buono per fare una gran quantità di legna. Il “palóm”, legato dietro la barca, arrivò a forza di remi al porto di piazza Catena, fu issato e fatto ruzzolare fino in piazza San Rocco, dove erano pronti gli amici con tanto di asce.
Viaggi in treno, pesci, legna e quella volta che…
Vittorio Colombo

 



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