L’Aldo “Parolòt” che gettò la bomba ai pesci

Redazione23/03/20254min
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I Tedeschi mitragliavano dal Brolio con raffiche rabbiose. Erano in ritirata, incalzati dai partigiani rivani e dagli operai che lavoravano nelle gallerie della Gardesana Occidentale. Era la mattina del 28 aprile del 1945 e la battaglia per la liberazione infiammava la città di Riva. Aldo e Rodolfo si guardarono e dissero ai partigiani che erano con loro: “Andiamo su, a bordo, noi due!”. Stavano sulla banchina del porto di piazza Catena, proprio di fronte alla Centrale idroelettrica. Davanti a loro, attraccato, stava il rimorchiatore “Mincio”. Il gruppo di Rivani e di operai scrutava il natante con apprensione. Si sapeva, infatti, che a bordo i Tedeschi avevano collocato una carica di esplosivo per farlo saltare in aria. Aldo Stefanelli e Rodolfo Tognoni decisero in un istante. Dante Dassatti, il comandante partigiano “Dario”, dato l’assenso, li vide precipitarsi a bordo. Le raffiche di mitra tedesche non davano tregua. I due amici stavano rischiando la vita: c’era il pericolo che il rimorchiatore saltasse in aria da un istante all’altro. Recuperarono la bomba e la gettarono il più lontano possibile nel lago. L’ordigno, scagliato con forza, disegnò una parabola nell’aria e scoppiò con un gran boato, sollevando una impressionante colonna d’acqua. Il rimorchiatore era salvo ed anche le loro vite. Fu un atto di coraggio che diede forza all’azione partigiana.
Un gesto eroico che meritava di essere riconosciuto e affidato alla memoria cittadina. Infatti il 28 maggio del 1945 Dante Dassatti firmò un attestato del Comitato di Liberazione Nazionale avente per oggetto il “salvataggio del rimorchiatore Mincio da parte dei patrioti rivani Rodolfo Tognoni e Aldo Stefanelli”.
Tanti anni dopo, nell’aprile del 1999, il giornalista Paolo Tagliente raccolse la testimonianza di Aldo Stefanelli che riportò sul giornale “Alto Adige” con il coinvolgente titolo “Eroismi dimenticati. E la bomba tedesca finì ai pesci”. Tagliente così riportò le parole di Aldo, che allora aveva 86 anni: “Nella loro sistematica opera di distruzione le truppe tedesche avevano posizionato una carica di esplosivo anche sul rimorchiatore Mincio. Io e Rodolfo, ambedue marinai, abbiamo chiesto a Dassatti di lasciarci salire a bordo. Non era un’impresa facile: oltre all’esplosivo dovevamo preoccuparci anche del fuoco delle mitragliatrici dei tedeschi. Riuscimmo a saltare a bordo, prendere la bomba e gettarla nel lago, pochi istanti prima che esplodesse. Mandammo così a monte il piano tedesco”.
Aldo, nei decenni successivi, è stato una persona molto conosciuta per la sua attività lavorativa. In realtà si chiamava Gerardo come il padre, ma per tutti è sempre stato “Aldo Parolòt”. Quella di famiglia, infatti, è stata una dinastia di “parolòti”, cioè di artigiani che aggiustavano i “parói”, i paioli. Tre dei cinque figli, con Aldo anche Gino ed Eugenio, sono stati “parolòti” con laboratorio prima in via del Corvo a Riva, quindi dagli anni Cinquanta in poi in via della Cinta ad Arco. Giuseppe Stefanelli, figlio di Eugenio, è stato il “parolòt” di terza generazione. Nel 1991 ha cessato l’attività perché i tempi non lasciavano più spazio a questo tipo di attività. Ma Aldo era orgoglioso di essere sempre stato conosciuto, nelle vicende della sua vita terminata nel 2000, come “Aldo Parolòt”, quello che nell’aprile del 1945 aveva gettato la bomba tedesca ai pesci e che poi, nei decenni successivi, aveva aggiustato a martellate vigorose una montagna di paioli di rame.
Vittorio Colombo