L’addio alla Capanna Santa Barbara del patriarca Tonìn Alberti

Vittorio Colombo30/06/20245min
albertitoni2 - Copia



 

Lo portarono gli amici adagiato su una sorta di lettiga. Non era ormai più in grado di affrontare i tratti più aspri, quelli che, nella sua lunga vita, Marcantonio “Tonìn” Alberti aveva battuto infinite e infinite volte. Ma quando fu a pochi metri volle scendere. Così, sorreggendosi con il suo bastone, fece a piccoli passi il tratto che lo portò alla Capanna Santa Barbara della SAT, il rifugio, la casa delle memorie e degli affetti, con sopra, a vegliarla, la chiesetta. Tonìn arrancò, mentre gli facevano ala i più cari Satini, quelli con i quali aveva condiviso gran parte della sua vita. Ma lui era il Patriarca delle nostre montagne, della Rocchetta e di tutte le altre che fanno corona alla Busa. A modo suo, il Tonìn, lo sapevano tutti, era un duro, un burbero con un cuore che più grande non si può. E, dunque, quella volta non ci furono lacrime anche se, a volte, i sorrisi sanno essere più lancinanti e dolorosi. Era l’addio, l’ultima volta che saliva fin lassù, dove cielo e lago si chiamano per un tripudio di azzurra bellezza. Era estate, quella volta, e gli amici stavano a torso nudo, godendosi le carezze del sole. Il Patriarca era quello di sempre, figura minuta come una radice e signorilità. Nobiltà d’animo vestita impeccabilmente. Il classico cappello, i baffi antichi a omaggiare gli occhi vivaci, intelligenti e, di certo, in quell’ora tristi. Quante e quante volte… negli anni che ormai promettevano il traguardo dei cento… quante volte a far festa in quella Capanna, arrampicata sulla Rocchetta. Si dice che in momenti come questi, quelli degli addii, ti assale l’onda dei ricordi, che ti riscaldano, ma che sono rimpianto e sofferenza. Il tutto stemperato dalla coscienza pacificata, quella che viene dall’aver fatto della tua vita una cosa giusta.
I fuochi pirotecnici sulla Rocchetta, gli anni in cui il Tonìn era il motore dell’esplosione di meraviglie d’artificio sulla montagna per far più straordinaria la Notte di Fiaba. Un incanto il “Bastione in fiamme”. Accendeva allora, con i suoi satini, la Notte d’estate, quella più bella di Riva. Una vita la sua, animata dal fuoco di fare, dagli anni dell’Irredentismo alla fondazione della SAT rivana, all’operoso dopoguerra, alle epopee ricche di eventi dei decenni successivi. Il grande cuore del Patriarca, quello che in un giorno d’estate volle ritrovare la sua storia, quella della SAT e della sua Riva, con un pellegrinaggio festoso, ma toccante, arrivando senza aiuto, se non quello del suo bastone, alla Capanna, simbolo della Rivanità. L’addio ai monti e al suo mondo fatto di amicizia e impegno. Era uomo sagace, colto, pronto alla battuta. Ridacchiava, dietro il suo tono burbero, quando un ragazzo a bocca aperta lo vedeva “trabascare”, nume incontrastato nel suo negozio di ferramenta, in viale Dante, dalla parte nord del “cantóm Perini”. Se ne andò, che era gennaio appena iniziato, nel 1998. Fino all’ultimo, con il suo bel vestito, la sua aria signorile, il suo sguardo curioso e, potenza dei Patriarchi, magari gli fu consentito perfino di tenere il cappello in testa. Mancò il traguardo dei cento anni, lontani appena otto mesi. Ma è bello ricordare quella volta. Quella volta l’estate era trionfante. Guardò il cielo e il lago e ritrovò la sua casa degli affetti, l’amata Capanna di Santa Barbara, il suo Paradiso su questa terra, che un giorno d’inverno lasciò per camminare spedito, senza bisogno di alcun bastone, sui sentieri del cielo.
Vittorio Colombo

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