La nonna terrorizzata dalla Tivù scappò in cantina

Redazione09/03/20254min
TELEVISIONE

“Aiuto! Scampém! Vei zó ‘l mont Briom!” urlava disperata mia nonna, che Dio l’abbia in gloria. E, quel giorno, inizio anni Sessanta del secolo scorso, la nonna dalla cucina in un amen si precipitò in cantina. Capisco se fosse franata la Rocchetta, ma il Brione è una collinetta. Successe che avevamo piazzato il nostro primo televisore, un catafalco, proprio sotto la finestra che dava sul Brione. Sistemati i cavi e il resto, avevamo girato una manopola, la sola, di accensione. Sullo schermo un documentario sui disastrosi effetti del crollo di una parete rocciosa. Giù sassi come se piovesse. Forse nel Nepal e con tanto di boato. La nonna, al suo esordio come telespettatrice, pensava che quello scatolone fosse una sorta di cannocchiale puntato sulle balze del Brione. Vallo a spiegare alla nonna che non capiva il perché di tanta crudeltà. Poi piano piano le cose migliorarono, avendo cambiato posto alla Tivù.
Colpito dall’accaduto, mi ero messo a intervistare amici e conoscenti. In una casa vicina si radunavano tre amiche assai gentili, per lo più zitelle o vedove. Il programma che preferivano era quello delle annunciatrici. Apriva la Nicoletta Orsomando, che diceva con un gran sorriso: “Signore e signori, buonasera”. Le tre signorine cinguettavano in coro: “Grazie. Buonasera anche a lei!”. Erano, come si suol dire, in confidenza. Finite le trasmissioni, mettevano sul televisore un centrino con le sagome traforate di cerbiatti che scendeva a coprire lo schermo e che faceva tanto Natale. Sopra, a tenerlo fermo, un vaso di fiori finti o una gondola souvenir di Venezia.
Il nonno di un mio amico era andato in depressione. Facendo finta di niente, fischiettando e con le mani in tasca, si avvicinava al televisore. Con un balzo metteva la testa nella scatola alla quale era stato levato il pannello posteriore. Cercava di capire dove si nascondessero quei tizi che poi apparivano, perché quel coso doveva per forza funzionare come un teatro di burattini. Un giorno o l’altro avrebbe pur trovato quei 22 “omenéti” che giocavano al pallone.
Qualche anno prima, in una delle poche case che avevano una Tivù, cacciavano a letto una mia amichetta. Nello sceneggiato scandalo “Canne al Vento”, tratto dal romanzo della Deledda, degli scostumati si baciavano. La mia amichetta tutto vedeva sbirciando dal buco della serratura. Proprio il massimo della libidine.
Per le puntate di Lascia o Raddoppia si radunava una folla, in pratica tutto il paese, al bar del Carlo Calzà a Sant’Alessandro. C’era un pericolo incombente: i rigoni. Sul più bello il Mike Bongiorno e i concorrenti mostravano teste oblunghe e parevano amebe. Poi diventavano rigoni trasversali. Il Carlo, persona assai stimata e solitamente tranquilla, interveniva con il suo grido di battaglia: “L’è la Paganela!”. Significava maltempo dove svettava l’unico ricevitore. Il buon Carlo assaliva la TV martellandole con pugni terribili il fianco in legno che scricchiolava e sembrava implorasse: “Basta per pietà”.
Da allora al mio paese Paganella è sinonimo di disgrazia. E il Brione va tenuto d’occhio, non si sa mai. Tante ancora ve ne racconterò di “robe” sulle prime Tivù, ma di certo, cari amici, ne avrete tante anche voi, di belle, da raccontare su quella rivoluzione. E dunque… “Signore e Signori buonasera”.
Vittorio Colombo