Il pazzo concerto rivano del Corpus Domini

Vittorio Colombo29/05/20224min
CORPUS

Era il primo Corpus Domini del Dopoguerra. La solennità aveva, allora, il sapore della primavera, del ritorno alla vita, dell’azzurro di un cielo che tornava a mandare in giro un’aria di ritrovata speranza. C’era, quel giorno, la processione ufficiale, quella col baldacchino, i confratelli, gli angioletti e il codazzo di Rivane col velo delle pie donne e di Rivani col vestito buono della festa. Ma dopo il rito religioso ci doveva essere festa popolare. Così annunciavano i manifesti affissi ai muri delle contrade. E, momento “clou” della festa, doveva essere il concerto della Banda. La cittadinanza, che aveva partecipato alla processione al gran completo, arrivata l’ora annunciata, si radunò… ed ecco, infatti, arrivare la Banda composta da più di una trentina di elementi. Erano giovanotti dal piglio compreso del musicista, e tutti brandivano uno strumento. Intero, nel migliore dei casi, o una parte di esso, visto che si erano staccati a metà i clarinetti per dare ai più fortunati le parti superiori e agli altri la “campana” impugnata in modo da tener nascosto il punto di scissione. La Banda si mise in marcia con passo sì marziale, ma senza suonare alcunché. Attraversò viale Dante, Stazione, Giardini, viale Magnolie, Piazza Garibaldi, via Gazzoletti, via Re Galantuomo e viale Maffei per entrare, con un codazzo al seguito, lungo e folto da far paura, in piazza Tre Novembre, già gremita di gente.
I musicanti con i loro strumenti, interi o dimezzati, si disposero a cerchio sotto la torre Apponale, pronti a scappare dal portico dell’oreficeria Armani non appena avviato il “pezzo”. Il Silvio Bonometti, musicista e già direttore della banda dei Marinaretti, che aveva intuito tutto, prese a contorcersi dalle risate. La gente lo guardava con sufficienza. Il direttore d’orchestra, che era il Nino Molinari, si rivolse alla folla ed annunciò la “Gazza ladra”. Non fece in tempo ad alzare la bacchetta che successe il finimondo. Dagli strumenti non usciva che un lamentoso “pio-ao”. Unici ad emettere suoni pseudo- musicali erano i piatti, il tamburo e la grancassa imitati da qualche sporadico assolo di trombone per chi era riuscito a combinare la pernacchia a contatto del bocchino. La gente accolse l’avvio del concerto con un’esplosione di risate e di urla con espressioni, a dire il vero, non tutte benevole. C’era chi applaudiva, ma anche chi mostrava i denti e i pugni. Era il momento del “rompete le righe” e di fuggire all’impazzata, cosa che avvenne attraverso via Gazzoletti. La Canonica garantì rifugio sicuro, fino a quando le grandi ombre scivolando giù dalla Rocchetta non annunciarono che anche quel Corpus Domini, il primo della fine della Guerra, andava proprio a finire e i Rivani, fatta debita scorta di sacro e profano, se n’erano già andati tutti “a paióm”.
La storia andò avanti per giorni e giorni e, con il passare degli anni e dei decenni, entrò a buon diritto, con la denominazione popolare de “Lo sConcerto del Corpus Domini”, nelle leggende cittadine. Quelle che fanno dei Rivani una gente del tutto particolare.
Vittorio Colombo

 



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