Fiorello con l’ombrello, Clelia e i “bandóni” dell’uomo del latte

Decenni or sono, fino agli anni Settanta, il latte ti arrivava direttamente a casa grazie a ‘L’uomo del latte, “l’om del lat”. Così era conosciuto il tipo che faceva un mestiere da tempo scomparso. Girava infatti con una bici, arricchita da un grande contenitore ben saldato al telaio anteriore, sul quale stavano i “bandóni del lat”, i bidoni di acciaio pieni di latte fresco. Di buona mattina pedalava seguendo l’itinerario delle abitazioni dei clienti. Davanti a ciascuna porta trovava esposta una bottiglia. La bici si fermava. L’uomo del latte scaricava un bidone che aveva all’interno un’asta-misurino che saliva e scendeva. Quindi, con un “orèl”, un imbuto, versava il latte nella bottiglia. A fine mese il fornitore riscuoteva “l’abbonamento”. Al mattino, a letto, prima dell’ora di partenza per scuola o lavoro, si sentivano sbatacchiare i “bandóni” che, sulla bici-carretto, andavano di qua e di là. Erano le sei o al massimo le sette. Si sentiva, nel dormiveglia, l’uomo del latte che parlava con la mamma, pronta a ritirare la bottiglia riempita. Succedeva molto presto, perché il latte serviva per la colazione.
Testimone di quei tempi è stata Clelia Furletti, vedova Omezzolli, mancata alcuni giorni fa. Clelia, dal 1964 al 2014, aveva gestito con il figlio Giovanni il negozio di abbigliamento in via Rovigo a Sant’Alessandro. Ma la storia di Clelia, quella precedente ai vestiti, ha molto a che fare con l’epopea del latte porta a porta.
Questo il racconto che mi fece: “Mio padre Fiorello Chiarani, classe 1914, veniva da Drena ed aveva casa di famiglia in via Fiume. Prima della Guerra girava con un carrettino con i “bandóni” del latte. Faceva il giro delle stalle: Grotta, San Tomaso, San Giorgio, dove raccoglieva il latte fornito dai contadini che avevano le vacche. Poi passava per le case con i “bandóni” e, davanti alle porte, c’erano le bottiglie o i “candolòti” (barattoli). Durante la guerra prese a rifornire le caserme e gli ospedali militari tedeschi negli hotel Europa, Sole, Lido e nel Liceo. Si dotò di un motocarro e poi di un camioncino. Partiva alle due di notte e percorreva, grazie ad un lasciapassare, le gallerie della Gardesana dove c’erano le officine Fiat. Batteva quindi le campagne del Bresciano, dove c’erano grandi stalle. Finita la guerra, aprì un negozio di pane e latte in via Disciplini, a fianco di porta San Giuseppe. Il negozio restò aperto fino agli anni ’70”.
Nel ‘54 Clelia sposò Angelo Omezzolli che faceva il contadino. Fiorello gli insegnò il mestiere e tutto quanto aveva a che fare con il latte. L’Angelo, dal 1950 circa e per una decina d’anni, era assai noto come “l’Angelìm dal lat”. Girava di casa in casa e molti ricordano il rumore di ferraglia dei “bandóni” che sbatacchiavano sul carrettino della sua bici. Andava a prendere il latte la sera nelle malghe di Drena e della Valle di Ledro. Perché si conservasse fresco, nelle ore notturne lo metteva in contenitori sigillati che venivano immersi “al fresco” nelle acque della “Fita” (il torrente Galanzana). Angelo scomparve nel 1999, quando moglie e figlio lavoravano nel negozio di confezioni di via Rovigo.
Il giro del latte a Sant’Alessandro passò, negli anni Sessanta, a Fausto Planchestainer, che operò fino a quando questa pratica, con le nuove norme, andò in disuso. Ma la storia de “L’om del lat” rimase per anni ben viva. L’immagine più bella è sulla foto del 1952: ci mostra l’intraprendente Fiorello che, davanti alla chiesa dell’Inviolata, pedala con la bici carica di bidoni incurante dell’acqua alta che arrivava a metà ruote. L’Albola era straripata e l’acqua aveva invaso Riva. Fiorello tiene l’ombrello ben aperto sopra i bidoni, forse per evitare che il caustico popolino dicesse che il suo latte era “allungato” con l’acqua del Signore.
Vittorio Colombo