Fiera di Sant’Anna: dai rospi ingoiati alle angurie
Sant’Anna, pensaci tu. Dalla notte dei tempi la “Féra de Sant’Ana” è il top dell’estate arcense. Intorno alla chiesa Collegiata c’è un’esplosione di bancarelle, di ambulanti, massaie, ragazzini, di urla: “Compré le mudande de lana contro ‘l mal de la préa”, di ciàcole, di cianfrusaglie da soffitta, di personaggi da libro delle fiabe. Oh! anche di quelle che fanno paura!
Le angurie fanno la fiera, ma prima di “anguriare” ecco una storia da brividi. Tenetevi forte.
Il suo nome era Vincenzo Catunnar. Veniva da chissà dove e, negli anni ‘50, era lo stregone della fiera arcense. Faceva sfaceli dietro piazzale Segantini. La gente gli faceva corona attonita. Il Cattunar, con piglio solenne, chiedeva silenzio. Si attaccava a un immenso bottiglione d’acqua e giù a tracannare fino a quando la pancia era a misura d’otre. Appariva quindi una misteriosa scatola. La apriva e, ohhh! della folla, ecco zompare fuori dieci rospi. Non, si badi bene, tenere rane vezzose. Proprio brutti rospacci, di quelli che, in dialetto, sono noti come “zavàti”. Orripilanti.
Il re dei rospi, con fare solenne, li brancava, e, uno a uno, li alzava al cielo, ben sopra la testa, quindi spalancava la bocca e… gluk! ingoiava il rospo. Per dieci volte, numero di sicuro magico, ingoiava. Ogni rospo spariva accompagnato da un urlo di raccapriccio della folla.
A questo punto il buon Catunnar, con la panza che ballonzolava e gracidava, faceva il giro per la questua. Suspance. Il sempre più buon Cattunar si metteva in ginocchio, “Ora prega Sant’Anna” e le massaie dicevano una corona. No, in ginocchio, si massaggiava con ampie volute circolari il ventre a botte. E, meraviglia e raccapriccio, dava di stomaco e non era proprio un bel vedere. Il rospo più scafato balzava fuori dalla bocca, espulso e contento. Saltellava tra le gambe degli spettatori dai gusti forti. C’era chi urlava, chi sveniva, chi cercava di schiacciare il rospo tracotante. Il Cattunar lo brancava e giù nella scatoletta. Poi per nove volte replicava e, finito il circo delle rane dalla gran nostalgia per lo stagno ma dal destino infame, s’inchinava alla nuova pioggia di monetine.
Il rivale più agguerrito era il fachiro. Si sdraiava su un letto di chiodi, quindi spaccava bottiglie e si sdraiava felice sui cocci. Gli spettatori più in carne facevano gran salti su petto e pancia.
E le angurie? Adolfo Zeni, detto “Gigioti”, le teneva nella fontana tutta l’estate. Con un tubo di acciaio separava il cuore dell’anguria, che vendeva a maggior prezzo, dal resto che andava a fette. In piazza, proprio davanti alla vecchia sede della Rurale, si fermava un rimorchio con il cassone pieno d’acqua e di angurie che nuotavano. In tempi più recenti delle angurie si sono occupati i volontari del Comitato presieduto da Ennio Righi che, come si vede nella foto, metteva in batteria anche il Bruno Salvadori, il “Grazie Stella” dei Caroselli “Negroni”.
A fianco della Chiesa, verso la canonica, Bortolo Chiarani vendeva frutta e verdura, attività proseguita poi dalla figlia Nerina con il marito Carlo Matteotti, papà del Mario.
Poi non va dimenticato “el Tobelét”, che faceva gelati squisiti in via Vergolano e poi se ne andava in giro con il suo carrettino magico.
Dove ora c’è il parco-giochi si sistemava una famiglia di suonatori, cappello per i soldini a terra, musica da piazza e da aia e, meraviglia, nelle pause vendevano dei “santini” che altro non erano che i testi delle canzoni del Festival di S. Remo. Andavano a ruba.
La fiera era rinomata per la qualità di “ài, zìgole e pessàte”. Davanti alla chiesa di S. Anna svettava l’albero della cuccagna con i suoi salumi appesi e l’alto palo smaltato di grasso. Dal Veneto, ma anche da qualche valle trentina, con i loro abiti tipici, venivano le donne (in dialetto “ciòde”) a vendere mestoli, “canaròle” per la polenta e altri arnesi vari in legno.
Le bancarelle sbaraccavano all’imbrunire. La Messa celebrata all’aperto davanti alla chiesetta era momento di devozione con la magìa dell’intrecciarsi dei voli delle rondini attorno al campanile. Così tante… mai più viste.
Era notte fonda e i bambini raccoglievano i cartoni e giocavano. Le luci si spegnevano. Sant’Anna, un po’ provata dal trambusto ma felice, si godeva il silenzio. Un bimbo faticava a prender sonno: vedeva saltellare sulle coperte gli orribili rospi dello “stregone” Catunnar. Magari c’era in giro un Principe Azzurro che, con dieci baci, avrebbe potuto liberare dieci Principesse. Cara Sant’Anna, ora pro nobis.
Vittorio Colombo