Croci rosse sui tetti degli hotel di Riva, morti e feriti

Una gigantesca città ospedale: questa era Riva negli anni della Seconda Guerra Mondiale e fino ai primi mesi del 1945 quando, ai primi di maggio, si celebrò la Liberazione dal giogo dei Tedeschi. Negli ultimi mesi del 1944 Riva subì una vera e propria trasformazione. Le truppe tedesche erano impegnate su tre fronti: quello italiano con gli Alleati che risalivano la penisola, quello francese dopo lo sbarco in Normandia degli Americani e il terzo fronte, ad est e nei Balcani, con l’avanzata delle truppe russe. Al centro di questo cerchio di fuoco e di dolore veniva a trovarsi, per dislocazione geografica, ma anche per strutture sanitarie funzionanti, la città di Riva che, dall’inizio della guerra, era diventata un punto di riferimento ospedaliero di assoluta importanza per la Germania di Hitler. Negli ultimi mesi di guerra la situazione, per le truppe tedesche, diventò drammatica: una rilevante parte dell’enorme numero di feriti sui tre fronti veniva portata proprio nella nostra città. Riva città ospedale: i grandi alberghi e gli importanti complessi edilizi vennero trasformati in ospedali. Dall’inizio della guerra il centro sanitario tedesco più importane era l’hotel Lido, poi diventarono ospedali anche l’hotel Europa (nella foto) e l’edificio del liceo Maffei, con altri punti di cura dislocati in città. Il rilevante flusso di feriti creò una situazione di grave emergenza: chirurghi e medici, molti di riconosciuto prestigio, vennero dalla Germania, ma c’era estremo bisogno di personale di appoggio per far funzionare l’enorme macchina. C’era necessità di inservienti, di personale per le pulizie, di manovalanza maschile per la manutenzione e per i lavori pesanti. Per questo venne dato lavoro a molti Rivani e Rivane che, muniti di lasciapassare per l’accesso, svolsero, sotto controllo, i compiti loro assegnati.
Si creò, dunque, una situazione per certi versi assurda, ma inevitabile: il dramma dei Tedeschi diventò opportunità di lavoro per i Rivani. In molte famiglie ci sono ricordi: esemplare è stata la testimonianza di Ezio Marchi, poi presidente dell’Azienda di Soggiorno. Si occupò di quanto era necessario al generale Rommel, la “Volpe del deserto”, ricoverato al Lido.
“Mia nonna vi ha lavorato come inserviente” ricorda oggi una Rivana, mentre un’altra parla della sua mamma che prestò servizio come sarta. Ma la misura delle tragiche dimensioni di quel dramma viene da un ricordo particolare: “Mio padre – è la testimonianza – ha dovuto lasciare il lavoro che gli avevano assegnato. Non ce la faceva più a trasportare gli arti amputati. Li portavano nel grande bunker sulle cui fondamenta sarebbe sorto, agli inizi degli anni Settanta, il Palazzo dei Congressi. Nel bunker c’erano dei forni crematori che funzionavano di continuo e nei quali venivano bruciati i resti delle amputazioni. La pena era insostenibile e i miasmi liberati nell’aria non davano tregua”.
Riva città ospedale: vista dall’alto la sequenza dei tetti era interrotta dalla visione di enormi croci dipinte sui tetti stessi, con colore bianco, per segnalare ai bombardieri alleati che quegli edifici erano ospedali. Croci gigantesche erano state così dipinte sui tetti dell’hotel Lido, dell’hotel Europa e del Liceo da squadre di imbianchini rivani, tra i quali si ricorda l’opera di Caravaggi. A fine aprile del 1944 i Tedeschi in confusa ritirata lasciarono Riva, ma quel che successe dopo, soprattutto all’hotel Lido, costituisce un altro capitolo di questa drammatica storia, un capitolo che merita di essere raccontato.
Vittorio Colombo