FRA CRISPINO: “E SE IN PARADISO NON MI VOGLIONO?”

Vittorio Colombo04/04/20215min
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“Se vado in Paradiso e non mi vogliono che cosa faccio?” chiese fra’ Crispino, con la serenità di sempre, alla volontaria della Croce Rossa che lo sistemava in barella per portarlo all’ospedale di Rovereto. “Torna qui da noi, ti aspettiamo in Grazia!” fu la bella e pronta risposta.
Cessò di vivere il 2 novembre del 2009. Non ritornò. Fra’ Crispino rimase Lassù per raccogliere, nella sua bisaccia, sogni e grazie da mandare su questa nostra terra.
Frate Crispino, l’ultimo “frà da zerca”, si chiamava Pietro Zanatta, era nato a Treviso nel 1919.
Un brutto pomeriggio di ottobre del 2007 venne investito nei pressi della rotatoria del Convento arcense. Si fratturò il bacino e la sua vita cambiò. Dopo le cure in ospedale trascorse un periodo al convento dei Cappuccini di Rovereto. Si aggravò,venne portato in ospedale. Lasciò questa terra.
Il suo ricordo è vivo nel cuore di molti. Per una quarantina d’anni è stato un personaggio molto popolare in Busa. Dal 1970 la sua casa è stato il convento dei frati Cappuccini di San Martino di Arco. Ma era la strada la sua scelta di vita. Chiesa a cielo aperto, senza muri, né confini. Per vivere e condividere, da povero e umile, le vite, spesso dolorose, degli altri.
Fra’ Crispino ogni mattina partiva per la sua missione, l’antica e umile pratica della “zerca”. Un tempo erano i frati della zerca erano molti. Andavano di casa in casa e raccoglievano i frutti della terra per il Convento e per i poveri. Poi, con il tramonto dell’epopea contadina, i frati delle zerca erano scomparsi.
Fra’ Crispino, però, non si era rassegnato al cambio dei tempi. Sandali ai piedi e bisaccia a tracolla, finché ebbe fiato e gambe, via a battere le strade dell’Alto Garda. D’estate con il caldo torrido, d’inverno col gelo e la neve. Così da lunedì al mercoledì, giorno di mercato, era a Riva, il giovedì al Rione Degasperi, il sabato e la domenica ad Arco.
La sua figura, nell’umile saio, era inconfondibile. La lunga barba dal sapore antico, lo sguardo mite e accogliente. Sapeva leggere nei cuori. Teneva gli occhi bassi e aveva sempre paura di disturbare. Era uomo di poche parole, ma le sue erano, nel loro candore, perle di saggezza e di conforto. Visitava i negozi, bussava discretamente alle case. Spesso lo invitavano a fermarsi per un pranzo dall’antico sapore devozionale. Molti lo consideravano uno di famiglia.
Camminava, la figura protesa in avanti, e le macchine si fermavano. Oggi molti considerano un privilegio e una benedizione l’avergli dato un passaggio E ricordano con gioia quei tragitti in macchina con il buon frate a fianco. Per molti un vero padre spirituale.
Mai invadente regalava santini a chi gli faceva un’offerta. Chiedeva poi noccioli delle olive per fare i rosari che poi regalava. Da buon francescano amava il Creato. Sono toccanti le foto con i piccioni posati sulla sua testa e su tutto il corpo. E la sua era antica saggezza, “Le tre cose che non serve fare nella vita: battere le noci, spalare la neve, uccidere le persone perché tanto muoiono da sole”. Chi dà gioia riceve gioia. E fra’ Crispino di gioia ne aveva dato davvero molta.
Messa di mezzanotte di un Natale lontano: l’umile frate con in braccio Gesù Bambino. E quel suo cammino verso la luce dell’altare era lo stesso che fra’ Crispino, l’ultimo frate da zerca, affrontava ogni giorno, ultimo tra gli ultimi, sulle strade dei poveri.
Vittorio Colombo

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