Lo guardo mentre mangia la cena che gli ho preparato.
Dieci anni che osservo il suo viso sotto la luce dei vari lampadari che hanno illuminato la cucina di tutte le case che abbiamo vissuto.
Uso volutamente la forma attiva del verbo vivere perché, grazie a lui, noi non viviamo in casa. Noi viviamo la casa.
Le sue cose sparse un po' dappertutto, libri e fumetti, gli occhiali, abbigliamento vario e improbabile come i suoi capelli a tre colori non fanno che ricordarmi la nostra filosofia: le cose si usano, si amano, si vivono - insomma.
E, a farla breve, son qui che da dieci anni lo guardo mangiare la cena ma a dirla tutta mi sembra dieci minuti.
Poi, quando mi sorride con quegli occhi pieni di aspettativa e riflessi autunnali, forse son dieci secondi ed io sono quella di diciott'anni appena compiuti che lo annusa di nascosto quando nessuno guarda.
In pratica, questa sera abbiamo spostato il tavolo.
Crack! L'avete sentito? È il rumore della routine che si rompe.
E niente, è sempre stato bene dove stava - sto tavolo di legno che era dei miei e ora è nostro e un domani chissà - e stasera sta bene dove sta.
Nel posto nuovo.
Come noi, che se Dio ci aiuterà staremo in un posto nuovo - prima o poi.
L'importante, dicono, è non perdersi.
E chi si perde, quando hai occhi marroni che ti guardano come quelli che mi guardano...
Non diciamo stronzate.
Possiamo spostare tutti i tavoli del mondo.