FRANZ MULLER, DAL MAL D’AMORE ALLE “DONNE DALLE GAMBE STORTE”

Redazione07/03/20214min
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Per tutti era Franz Muller detto Beckenbauer. O Topo Gigio Beckenbauer. Non c’è rivano, di una certa età, che non lo ricordi. Anzitutto per la sua postazione fissa. Ai giardini Verdi, panchina personale a pochi metri dalle vetrate del supermercato Orvea.
La sua è una storia triste, che va raccontata. Per evitare che il lato umano, sempre da rispettare, sia cancellato. Talvolta, il destino sa essere oltremodo crudele nell’accanirsi con persone fragili.
Franz Muller era il suo vero nome. Ebbe un’infanzia difficile. Per un periodo visse con la madre al Rione Degasperi. Molto presto, a 17 anni circa, dovette affrontare i difficili sentieri della vita. Cercò un lavoro e degli affetti. A Riva fu cameriere al Pace, quindi al Cervo e al Liberty, sempre con il Franco Calzà, animatore di quei locali. Rodolfo Scanavacca, impiegato al Liberty, lo ebbe come amico. Lo ricorda buono e simpatico, professionalmente valido.
Poi il fatto che segnò la sua vita. Per un periodo lavorò a Roma da un generale degli Alpini con casa in Alto Adige. Si fidanzò con la figlia. Lei lo mollò e lui cercò un impossibile conforto nel bere. L’abuso di alcol e le ferite dell’anima lo trasformarono in quel personaggio che vestì la propria infelicità con gli stracci del barbone.
Questa la storia e queste le ragioni. Il Franz se stava dunque seduto, non proprio un modello di compostezza, dando le spalle all’Orvea. Appoggiata a terra, a portata di mano, la bottiglia. La prossimità con il supermercato era garanzia di rifornimento rapido. Tappo corona, sia per il gusto popolare che per il prezzo contenuto.
Era un tipo loquace. Parlava volentieri con chi passava dai giardini. Calcio e calciatori erano la sua materia. Era il massimo esperto di Nazionale tedesca. I ragazzi lo interrogavano e lui snocciolava, come un rosario, la formazione dei giocatori. Anche di quelli della Nazionale italiana. Aveva così conquistato sul campo, come terzo nome nobiliare, quello del Beckenbauer, il fuoriclasse del Bayern. Orecchie a sventola e sguardo stralunato gli fecero guadagnare ben presto anche il soprannome di “Topo Gigio”.
Quando non stava in panchina il Franz deambulava. Con uno stile tutto suo. Pancia in avanti in fuga. Spalle inclinate all’indietro, ad inseguire. Gambe in libera uscita. Pettinatura bohemien con ciuffo in su alla Stanlio. Occhi cerchiati da paradisi psicadelici. La proprietà della panchina era sacrosanta. Il passato da cameriere gli aveva lasciato in eredità quel suo modo di camminare da maggiordomo.
Nella Bella Riva di quegli anni lontani per molti ragazzi è stato un surrogato fantastico della Gazzetta dello sport. Per molte ragazze, che ancora ricordano, era la sfida. Quando una gli ancheggiava davanti a bella posta, si alzava di scatto. La inseguiva, ma innocuamente solo per pochi passi. Grande esperto in polpacci calcistici, con voce impastata, colpiva duro: “Te gai le gambe storte”. E si vedeva che era contento, perché offesa più offensiva per il gentil sesso non ci poteva essere. E così si vendicava della morosa fedifraga. Che doveva avere le gambe a compasso.
Commedia e tragedia. Erano già gli anni Duemila quando finì i suoi giorni in una casa di riposo delle Giudicarie. Ancora oggi, passando dai giardini Verdi, guardi quella tal panchina. E ti sembra che il buon Franz non se ne sia mai andato del tutto via. In nessun altro posto.
Vittorio Colombo.

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