Luna park, amore mio: gabbie volanti, calcio-in-culo e l’orso che fa la òla
Viva il Luna Park dei tempi della fiera di S. Andrea. Posto d’onore agli “autini” Rizzi, d’accordo. Ma poi che diavolo c’era? Fai uno sforzo e ricorda.
Giostre con cavallucci per bimbi sognanti, zucchero filato “tacaìz” fin nei capelli, urla dalla navetta della giostra dai bracci che ti sparano in cielo per poi schiantarti in basso.
Le gabbie volanti sono il tuo regno. Stantuffi con le gambe. Staccando i piedi e l’ombra da terra. Ti libri sospeso a mezz’aria. La gabbia gira a tutta birra. Sotto le belle luci e per un amen senti odor di paradiso. Madonna, se si stacca finisco al Grez. L’amica di gabbia levita a mezz’aria, capelli dritti all’insù, tipo la Linda de l’Esorcista. Stupendo. Mi vien da vomitare anche l’anima.
E vai col calcio-in-culo. Seggiolino, catenella, adrenalina. Schema, tandem di seggiolini. Dietro il gamba potente, davanti lo smilzo acrobata. Catapulta e lo smilzo, assunto in cielo, afferra la coda della volpe. Giro gratis, catenelle attorcigliate, testate, volteggi intrecciati. Come le risate.
Il tiro a segno è regno della “giostrèra” dal trucco a chili. “Bel ragazzo, vuoi sparare?” dice, bocca a culo di gallina. Il tizio fa centro, anche nel cuore della bella che si piglia il peluche. Invidia. Pipette di gesso schiantate a colpi di flobert. Tu però ami l’orso che a quattro zampe va avanti e indietro. Lo becchi nel cerchio della pancia e lui si impenna. Due zampe all’aria a far la òla. “Grrrrrr” cavernoso, terribile, tenero.
La pallina da ping pong saltella sulle vaschette dei pesci rossi. C’è anche chi usa la canna da pesca. Andrai a casa con il sacchettino di plastica, d’acqua trasparente. Il pescetto poi galleggerà, pancia all’aria. Senso di colpa.
Infili 100 lire nella fessura. Manovri, con il pulsante, il braccio della gru dentro la bacheca illuminata. Radio, peluches, orologi? Ma va, sei proprio un imbranato. Ma sei forte. Metti il guantone, dai un pugno al pungiball, che si schianta sul soffitto. La lancetta dice: “schiappa”.
Questo non lo ricordi: è il tunnel dell’orrore. Si sale a bordo di un “autino” che, correndo su rotaie, ti porta nei meandri di un castello di cartapesta, tipo famiglia Addams. Nel buio, stridono le rotaie e i tuoi denti, tra scheletri, fantasmi e, che schifo!, ragnatele in faccia. Di plastica ma più schifose di quelle dei ragni. Urla di torrone, scusate di terrore. Ma c’è chi ci va di continuo per rubare baci alla morosotta finto-atterrita.
E il pozzo delle moto dannate? Stai ai lati di un altissimo silos circolare, reti metalliche con la corrente. Due motociclisti girano in tondo come matti. Vanno su e giù ingabbiati. Perché diavolo non cadono all’interno?
Di sicuro non ricordi il tendone del mini-circo, con la donna barbuta, lo yeti baffuto, la contorsionista sexy che poi, con pagliaccetto e mutande, fa veder Trieste balzellando sul filo sospeso. Il clown triste è triste.
Ressa di guardoni per il gioco delle tre carte. Carta vince carta perde. La mano è sempre più svelta dell’occhio. E, per restare tra le carte, ecco seduta al tavolino, fuori dalla tenda stelle e pianeti, la chiromante che legge le carte. O, a scelta, usa la tua mano come sillabario. Come la mettiamo con la curva della vita? Respiri forte. Turbato dal turbante, da anelli tarocchi e rughe secolari. In fondo ammiri quelli che si fanno predire amori e futuro. Perché tu, anche se mandi tutto in vacca e fai il figo, sei un gran fifone. Perché non vorresti mai che…
Vittorio Colombo