Cara Ciarina “dala panza molesina”, sei sempre il nostro mito

Vittorio Colombo08/11/20204min
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Una volta, nei nostri anni Sessanta, le “Ciarine” erano due. Ciascuna si faceva di elemosina in proprio. C’era la Ciarina dai Campi che imperversava con il gigantesco marito Sotèro (della strana coppia ne parleremo) e la Ciarina, rivana doc, della quale parliamo ora.
Abitava in via dei Fabbri a Riva, in pieno centro storico. Era alta, si fa per dire, un metro e trenta. Aveva infatti debordato in circonferenza i centimetri rubati allo sviluppo verticale. In fatto di notorietà cittadina il Sindaco era un dilettante. Anticonformista nata: d’estate si bardava di coperte e maglioni, d’inverno sprizzava bollore, maniche corte, da una “grumbiala” a quadretti.
Il suo carnet mondano era stratosferico. Non c’era festa rionale, sportiva o cerimonia che non la vedesse protagonista. Alcune sue performance sono nella storia. Feste di “Pane, vino e pesciolino” al Brolio: il Bruno Salvadori, quello dei caroselli Negroni, la issava sul palco. Volteggiavano avvinghiati in balli sfrenati. Lei, più che altro, trottolava. Inchini da gran dama, sorrisi da vino Santo e alè col “Valzer dele pessate”. Era poi la reginetta di “Polenta e mortadella” a Varone. Fatto il pieno lasciava la compagnia con una collana di mortadelle a tracolla. Nella foto è l’attrazione della festa degli Alpini alla pineta de Lutti, con lei da sinistra Fedele Passerini, Franco Calzà e Lucillo Furletti (foto tratta dal mio libro “2013, Alpini S. Alessandro”).
La domenica andava in Chiesa. Più che altro per la compagnia. Poi i banchi erano comodi. In “Cesa granda”, cullata dal sermone di don Vito, una volta si addormentò sulla spalla di un tedesco immobile come uno stoccafisso.
I rivani le volevano bene, le allungavano qualche spicciolo. Poi lei si arrangiava: ad ore pasti si piazzava davanti ai ristoranti. Rimediava, purché evitasse di far scappare i turisti, dei sacchetti di roba da sgranocchiare. Al mattino non le mancava mai una ciambella da forno caldo al panificio comunale dei Merighi.
Sua postazione fissa era l’Inviolata. Seduta sulla panchina a fianco del chiosco dei fratelli Martini sfrerruzzava perlopiù calzini. La domenica, prima della dottrina e del cinema Oratorio, il copione era il rodeo. Causa gambe corte buttava spalle e ciccia ora a destra ora a sinistra. Dava il mal di mare a vederla ma andava a tutta birra. Assestava così sonore ombrellate ai ragazzini che le dedicavano il ritornello entrato nella hit parade rivana:
“Ciarina, Ciarina
dala panza molesina
dale tete de veludo
Ciarina te saludo”.
Che dire? È stato bello averti tra i personaggi che hanno segnato i nostri anni verdi. I rivani, in fondo, ti volevano bene come lo si vuole ad una vecchia zia uno po’ stramba. Poi, scaldava il cuore sentire quel tuo “lazaróm se te ciapo…” e poi prendere una bella ombrellata. Che talvolta ancora senti accarezzarti la schiena e i ricordi. Ciao, cara Ciarina, te saludo.
Vittorio Colombo

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