Noi, la terribile “banda chierichetti” della Busa
Lo confesso, sono stato chierichetto. Del resto, decenni fa, non ci si scappava. Era una specie di naja obbligatoria. Tu magari recalcitravi ma c’era qualcuno, di solito la mamma che, a tradimento, ti trascinava per un orecchio in canonica. “Lo desiderava tanto”, e il parroco ti arruolava, anche se non avevi studiato teologia. Abile, si fa per dire, e chierichetto sbattuto in prima linea sull’altare. Senza arte ne parte, ma con particole sì, che, non benedette, erano nascoste in quel sacrario credenza, che era la sacrestia. Avevano il dolce sapore del proibito tanto che, mentre masticavi, guardavi in alto certo che un fulmine ti avrebbe disintegrato. Per punizione divina.
Venivi ammesso nella banda chierichetti solo dopo aver dimostrato di essere un bevitore, come tutti gli affiliati alla setta, di vino santo da messa. A dirla tutta io preferivo la “gazosa”, quella della bottiglia con pallina, ma i veterani ti passavano il bottiglione che poi serviva per riempire le ampolline per la messa. E giù vino proibito e giù a ridere mezzi ciucchi. Poi, per nascondere il misfatto, si aggiungeva acqua. Perché il prete, giustamente sospettoso, faceva un segno con la matita. Poi diceva al sacrestano: “Cattiva annata, ‘sto vin nol gha corpo, bisogna far pù rogaziòm”, cioè andar a zonzo per le campagne invocando nubifragi.
A me toccava la cotta usata; “piccava” da una parte e mi andava sotto i piedi quando uscivo con il cero acceso, che era alto due metri, uno più di me. Facevo balletti da orso del circo per stare in piedi ed era, per i pochi fedeli, come stare alle comiche al cinema.
Poi non ero un genio in fatto di coreografia liturgica, non ne avevo proprio il dono. Così i veterani mi sballottavano in giro per l’altare alla cieca: Andavo dal prete con le ampolline e quello scuoteva la testa, perché era l’ora del libro. Andavo con il libro e mi fulminava perché voleva le ampolline. Così ho cominciato a portare libro e ampolline, e anche la chiave del tabernacolo che non si trovava mai. Con panico da sacra astinenza.
Quelli che ricordo più volentieri erano i giorni di paga. Tutti in canonica, davanti al prete con il quadernetto dei servizi: messa prima o “bassa” lire 2, messa cantata o “granda” lire 3, messa del patrono, esageriamo, 10 lire. Prezzolati e un po’ delinquenti, perché tutti facevamo la cresta. E il prete diceva: “Orpo, questo mese ho celebrato cinquecento messe… così sbiello il messale”. Lo sapeva che eravamo dei piccoli delinquenti, e ci rideva su: Ma con il suo Superiore mica poteva scherzare; così la volta in cui in confessione ho detto: “Ho marcato tre messe in più, 6 lire”, la grata si è aperta ed ho visto cinque dita di stelle. Passa il vescovo, e passa anche il prete.
Una volta, per poco, non incendiavo la chiesa con le pie donne. Erano le 6 del mattino, messa prima. Stavo inginocchiato sostenuto dal candelone acceso e mi sono addormentato. Oh, può capitare tanto più che il sacrestano, sacramentando ma sottovoce, ha spento la tenda infuocata con il vino annacquato. Per funerali e matrimoni zuffe da taverna. Con la paga anche la mancia dei parenti, a “mano morta” e la croce da trascinare davanti alla bara fino al cimitero. La sacrestia era anche luna park. Certe volte, per sfinimento, ci davano da suonar le campane. Tecnica “San Martino Campanaro dormi tu”: ti accucciavi tirando a terra la corda che poi, a razzo, ti scagliava in cielo a dare una capocciata al soffitto. E il prete: “Più ritmo, state suonando a morto”. E in giro per il paese c’era chi pregava e chi si toccava.
Di una cosa andavo fiero. Allora il prete celebrava dando le spalle alla navata. Se ero di turno al turibolo, dopo un po’ di manovre a mezza altezza, di colpo lo roteavo sopra la testa. Giro della morte, scintille da Notte di Fiaba, strilli nei canti delle pie donne.
Beh, ne avrei da raccontare…
Sono sicuro di essere in buona compagnia perché, in tutta la Busa e anche nel resto del mondo, a rendere terribile la “banda dei chierichetti” eravamo davvero in molti. Allora era cosa da maschi, oggi sono più le ragazzine. Giusto che sia così, era discriminazione bella e buona, ma allora fare il chierichetto era come fare la naja delle sette chiese. E la sacrestia era la caserma del Signore.
Vittorio Colombo