Siamo gli italiani che ce la fanno
Quelli di Malpensa sono tutti col naso all’insù. Ci nascono proprio, intendo: quando in sala parto li prendono per le gambe e li tirano sù, non perdono un secondo e son già pronti a cercare il cielo. Hanno gli areoplani nella pancia, il cuore col giroscopio e nel cervello una scatola nera.
“Buongiorno, dottor Parolari!” – per strada si salutano sollevando il cappello e sorridendo sotto ai baffi – “Buongiorno a lei, ragionier Falciati!” e per chiedersi come va si informano sulle condizioni del traffico. Aereo.
Quelli di Bologna hanno tutti il naso sul piatto. Il fumo caldo del brodo dei tortellini può appannare gli occhiali, ma chi è capace di resistergli? E poi, mica è una guerra. Semmai, è una festa – perché a Bologna o fai festa o sei morto. E, credetemi, che con quei tortellini che navigano nel brodo grasso del cappone non è mai morto nessuno.
Quelli di Napoli sono fantastici. Sono sempre nei casini, ma non smettono un secondo di fare due cose: pregare e cantare. E in momenti come questi, con la quarantena e il Covid-19 e tutta questa babilonia, anche quando cantano è una preghiera.
E poi ci sono quelli di Genova, soprattutto quelli del Porto Vecchio – che una volta a camminarci attraverso o eri un malvivente o eri un marinaio. Dicono che in tempi antichi le due cose coincidessero. Eppure tra quelli di Genova, che sotto i ponti che crollano e le piogge che imperversano come se non ci fosse un Dio, non ci sono nè malviventi nè marinai – ma soltanto poveri cristi che non mollano. Al limite, quattro saracche e un morso di focaccia, ma niente di più e soprattutto niente di meno.
Anche quelli di Venezia, con l’acqua ci sanno fare. “Duri i banchi” si gridano l’uno con l’altro per farsi forza, l’acqua alta che gli arriva alle cosce e gli entra negli stivali li bagna e li raffredda – ma dentro hanno le anime più secche del mondo, abituati come sono a ricominciare.
Quelli di Roma si dividono tra il profumo dei gelsomini e quello della coratella. Si incrociano mentre vanno a lavorare, si lanciano un paio di finti insulti tra romani e laziali, sfrecciando davanti al Colosseo e buttando un’occhiata al culo delle turiste con la macchina fotografica.
Quelli di Milano hanno il cuore che sanguina, come quelli di Brescia e di Bergamo. Dicono che non ci sia uno di loro che non abbia visto morire qualcuno per questa schifezza di pandemia. Eppure se gli vai vicino (per quanto sia possibile) mica piangono. Ti guardano in faccia dalle mascherine e ti dicono che tutto andrà bene. Tu gli chiedi “Perché siete di Milano? (o di Como, o di Casalbelgirate o di Castronno, o vedete un po’ voi) e loro ti rispondono, così, senza esitare: “Perchè siamo Italiani. E gli Italiani ce la fanno”.