Vittone e Margoni: “Ricordi quando eravamo i fantasmi della Rocca?”
Giacomo Vittone abbracciò Silvio Margoni e gli disse: “Ricordi quando eravamo i fantasmi della Rocca?”. La voce di Giacomo era rotta dall’emozione. Gli stanchi occhi di Silvio si riempirono di lacrime. Vasco Guella, l’amico di sempre di entrambi, era presente e testimoniò l’incontro. Era il 1984 e Vittone, “pictor Dominicus”, era tornato a Riva, e fu quella l’ultima volta. Da 22 anni ormai viveva ad Ostia con nel cuore Riva, la Busa e il Tennese. Silvio per età sfiorava ormai il secolo e quindi non aveva più molto tempo davanti. L’incontro, lo sapevano entrambi, era un addio. Giacomo e Silvio erano stati fratelli, straordinari ideatori e protagonisti, della più bella storia rivana: quella del fantasma della Rocca. Durò, quella vicenda, una decina d’anni, dal 1953 ai primi Sessanta. Ne parlarono i giornali di mezzo mondo e arrivavano a frotte curiosi, turisti e studiosi che fecero della Rocca il centro del mistero.
Vittone era il Sovrintendente del Museo, Silvio Margoni il custode. Quest’ultimo, in precedenza comandante dei Vigili urbani, allora andava verso i settant’anni, mentre Vittone ne aveva tredici di meno. Tutto era partito dal ritrovamento di uno scheletro nelle campagne di San Cassiano da parte di Mario Parisi e Silvio Pederzolli. Lo scheletro era senza testa. Vittone ebbe l’idea e, nella sua realizzazione, venne affiancato dal custode Margoni, da Riccardo Pinter e Danilo Benatti. Allestirono in una sala, affrescata da Vittone con una “Danza Macabra”, una tomba di tegoloni con dentro lo scheletro. Con la complicità dei giornalisti locali, Chesani, Morandi e Chinatti, partì la storia. Di notte il fantasma buttava all’aria mezzo Museo, imperversando come una furia perché cercava la sua testa. Vittone era il regista e Margoni l’alter ego del fantasma. Era il custode, infatti, che di notte metteva tutto a soqquadro e spargeva le ossa nelle sale.
I momenti più entusiasmanti della storia vennero, in quell’incontro del 1984, ricordati da Giacomo al complice Silvio, provato ormai dai malanni dell’età, ma con nel cuore quelli che furono, come ebbe modo di ricordare, i momenti più belli della sua vita. Più di mille parole valgono le foto che pubblichiamo affiancate. La prima è stata scattata a metà degli anni Cinquanta, quelli dell’entusiasmo e della gloria. È in bianco e nero ed ha il fascino degli anni belli. Belli e lontani. I due sono sui ballatoi all’interno della Rocca. Margoni, nonostante l’età già non più verde, è in gran forma. Elegante, distinto e pronto all’azione. Il Sovrintendente Vittone, sia nelle vesti che nell’atteggiamento, rileva quello che era il suo ben conosciuto carattere: forte e creativo.
La foto a fianco è commovente: trent’anni dopo la prima, è la testimonianza di valori, quello dell’amicizia e dell’amore, destinati a durare negli anni che ci sono concessi. È a colori, e i colori non fanno sconti: c’è un senso di rimpianto e di tristezza che mitiga la gioia del momento. Parlano gli occhi, smarriti e persi in un tempo evanescente quelli di Silvio, la giacca sul rosso, la cintura alta, una mano in tasca e l’altra abbandonata a fianco. Giacomo, giacca marrone che parla d’autunno, è ben presente e consapevole e accenna uno stentato sorriso. Gli sguardi di entrambi si perdono lontano, ben oltre l’obiettivo del fotografo… al tempo felice in cui Giacomo e Silvio erano i fantasmi della Rocca.
Vittorio Colombo