Quando “el Bis del Lufàm” seminava terrore
El Bis del Lufàm? E chi non lo conosce? È la star dei nostri mostri da leggenda. Non c’è Yeti o Nessie del lago di Loch Ness che tengano. Il Bis del Lufàm è gloria altogardesana. Come nacque la leggenda? Io vi svelo, stando a racconti più o meno alcoolici, come nacque la storia.
Correva l’anno 1957. C’erano questi due fratelli di Nago, il paese del “Mago”, chiamati i “Clarinetti”, che di mestiere facevano i contadini. Avevano campagna in quel del Linfano. Ogni mattina vi arrivavano a piedi, accompagnati da un bue. Faticavano tutto il giorno nel loro campo per poi, la sera, rifare il tragitto inverso. Sempre in compagnia del bue, esperto nel tirare l’aratro. A quei tempi la Sarca aveva argini bassi e naturali, così l’acqua in alcuni punti entrava nella campagna. I due fratelli avevano in un’ansa del fiume un bel laghetto, ingentilito da una baracca di legno, nella quale si riposavano dopo il pasto del mezzogiorno, dividendo il fresco giaciglio con l’amico bue.
Era primavera quando successe, forse maggio. Gli abitanti del Linfano, per lo più contadini, accorsero sentendo le urla di terrore dei due fratelli. Con voce rotta i “Clarinetti” raccontarono che stavano ronfando nella baracca, quando un testone enorme, da dinosauro, scardinata la porta, fu sopra le loro teste. Zaffate di zolfo e di putridume. Il testone si impennò di scatto e scardinò il tetto. Se ne stava ritto sulla coda, o sulle spire, o su quello che diavolo volete. Era un serpentone, una sorta di “Bissóm Bastonèr”, nero come il carbone. Sibilava come una vaporiera ed era alto come il monte Brione. A detta dei fratelli il “Bissóm” ghermì il povero bue avvolgendolo con le sue spire. Le cornate del bue e le urla dei “Clarinetti” ebbero la meglio e il Mostro, lasciata la preda, si tuffò nel laghetto per poi scomparire nella Sarca.
Da lì il “Bissóm” diventò leggenda. Le famiglie la sera si ritrovavano davanti al fuoco e nei filò avvistamenti e imprese scorrevano alimentati da fiumi di Merlot. Si diede così per certo che del bue dei “Clarinetti” era stato fatto un sol boccone. Una sera un tizio tosto caricò una doppietta e balzò fuori dalla finestra. Due spari squarciarono il silenzio della notte. L’eroe disse di aver messo in fuga il “Bissóm” in cerca di qualcuno da mangiare. Un’altra volta un tizio del camping Maroadi raccontò che aveva trovato metri e metri di canneto “spianati” dal Mostro che si era fatto la strada per il ritorno nel lago.
Quel 1957 fu dunque anno di portenti e la fama del Mostro si diffuse in tutta la Busa. La gara a chi la sparava più grossa andò avanti per anni con, tra l’altro, la scoperta di orme gigantesche ai piedi del Brione.
Chi allora era bimbetto ricorda ancora notti di paura. Ma in fondo il nostro Mostro non ha mai fatto male a nessuno se anche il bue dei “Clarinetti” aveva potuto far ritorno dalla sua vacca. La storia è intrigante ed ha il sapore delle saghe nordiche, quelle dei draghi dei fiordi che, un po’, ricordano l’Alto Garda. Le leggende, si sa, sono ricchezza e civiltà popolare. E, allora, teniamocelo ben stretto lo spaventoso amico dei sogni e delle nostre fantasie più bizzarre. Amato e citato, il “Bis del Lufàm” merita così di continuare ad essere il caro serpentone che ha avuto il merito di fare del Linfano una sorta di favoloso Jurassic Park di casa nostra.
Vittorio Colombo