“El fogolar” dei Rifugi: la polenta nel cassetto e il calzino nel minestrone

Vittorio Colombo05/03/20235min
rifugi - Copia

Quella volta al rifugio ai Grassi era finita la polenta. E i “siori milanesi” insistevano. Così l’Egidio dai Campi, il gestore, levò da un cassetto una grossa fetta di polenta secca. Era lì da tempo immemorabile perché gli serviva per pulire i pettini. La abbrustolì. I Milanesi non la finivano più di alzare lodi al cielo, che una polenta così buona non l’avevano mai mangiata!
Racconta questa storia il Mauro, uno della stirpe rivana di quei Caceffo che hanno legato le loro vite all’amata montagna. E quella volta che? “Cercavamo un calzino che doveva essere su un filo steso. Alla fine l’abbiamo trovato. Era in fondo al paiolo del minestrone e riemerse alla fine del pasto. Il minestrone con quel certo sapore di piedi era la fine del mondo”.
La memoria apre bagliori di fuochi antichi. E il Mauro rivede anni belli della gioventù, quando i “fogolari” erano l’anima dei Rifugi. Ricorda che da bambino andava a Tiarno di Sotto per le vacanze. Rivede i due nonni della famiglia che lo ospitava, Francesco e Carolina, seduti sulle panche davanti al focolare. Lui con la pipa in bocca biascicava il rosario, la Carolina rammendava un calzino con dentro l’uovo di legno.
Rifugio “San Pietro”. Il focolare era tenuto acceso dal gestore Francesco Cazzolli di Ville del Monte. Era occupato dai “siori” di Riva, i soci anziani della SAT: il Boscaini e il Beghini, negozianti di vestiti, il Girardi degli scampoli di stoffe vicino a piazza Erbe, l’Oreste Baroni delle cornici, quindi il Gino Vivaldi e il Giacomino Torboli. Spesso vi arrivava il Riccardo Pinter, impiegato della Cassa Malati, che raccontava le storie dell’eretico fra’ Dolcino e della bella Margherita.
Rifugio “Pernici”. “Fogolar” alimentato dai gestori Dolfo e Clara. Storie da ridere a crepapelle, quando salivano in cattedra l’Enzo “Pastina” Zucchelli e la Gemma Tolotti. Qualche sabato si aggregava una coppia di Campi, “el Remo Libia” con l’Erminio, il simpatico gobbetto. Racconti di caccia. Il capriolo ucciso? Grande come un elefante! Spari a vuoto sul sentiero di Savàl: per forza, i cotorni andavano come aerei a reazione!
Rifugio “Bezzecca” sull’Avéz in Tremalzo, gestito dal Bruno e dalla Viola. La figlia Mariella era specialista nelle “camomille” al rum o al Picco Rosso del Foletto. Davanti al focolare c’era sempre il Franco Pastori, che aveva un gregge di pecore a Malga Lavino. Come faceva a tornarvi nella notte carburato com’era? “L’è la mé simia che mé protege” diceva fiero. Ma cosa diavolo fosse quella benedetta scimmia non lo si è mai saputo. Si vedevano spesso il Franco Capelli, pistór (fornaio) di Tiarno di Sopra, il Battisti con gli altri pastori della malga dei Bezechi. Qualche sera veniva la maestra Agnese Rosa, sindaco di Molina di Ledro. Aveva casa sopra il Rifugio. Gran temperamento, vinse la sua battaglia per il tunnel per la Val di Ledro. Verso sera si presentava talvolta con la figlia Antonella “el Richetìm” che, allora, gestiva il rifugio “Guella” della SAT in quel di Tremalzo. Teneva stretto un cesto di brise e non c’era verso di carpirgli i posti segreti. Numerosi i Rivani che lo frequentavano, soprattutto nei mesi della neve; tra questi il primario dell’Ospedale di Riva, il dottor Valerio Manfrini.
Il Mauro Caceffo rivive nel ricordo quelle serate con il calore degli amici, la maggior parte andati ad aprire sentieri verso il cielo. Le fiamme rese scoppiettanti dai rami resinosi di pini e larici. Bagliori nei focolari di una volta e nei cuori e, oltre la finestra, il buio silenzioso dei monti. Così pieno di magia quando quel mondo incantato era fatto di neve.
Vittorio Colombo

 



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