Via Marocco: Bocca di rosa, le dentiere, la bara che slitta

Fellini, se fosse nato a Riva invece che a Rimini, ci avrebbe fatto un film, tipo Amarcord.
Via Marocco, dagli anni Trenta a fine Cinquanta del secolo scorso. Nella via, stretta e ripida, convivevano, a pochi metri di distanza, il casino cittadino e un negozio di casse da morto. Il piacere e il dolore, sospiri da amori mercenari e ultimi respiri: la vita e la morte.
Il casino, o casa di tolleranza, era nella parte terminale della viuzza e aveva la porta di un bel colore rosso. Una lampada accesa mandava bagliori ruffiani nella notte. La legge Merlin, che chiuse le case del piacere, arrivò nel 1958. Fino ad allora molti Rivani, foresti e soldati frequentavano quel posto. Ogni quindici giorni si cambiavano le ragazze e la novità “tirava”, eccome! Certi padri portavano i rampolli timidi per “svezzarli”. La buona borghesia si concedeva qualche svago, al di là della routine del talamo coniugale.
Prima della guerra la maestra Itala Barbagli, da ragazzina, abitava nella casa che, angolo via Fiume, guardava sul Municipio e sull’accesso al Marocco. Raccontava che, verso la mezzanotte, finito il Consiglio comunale, sciamavano diversi consiglieri intabarrati fin sugli occhi. Uscivano dalla porta del Municipio e, fatti pochi passi, imboccavano cameratescamente la strada che portava alle luci e alle lucciole. Rivani arguti dicevano che, in fondo, continuavano nel loro impegno: dai banchi duri del Consiglio al sofà molle della maitresse.
Luciano Baroni, poeta e uomo di cultura, dedicò, in anni successivi, una tenera poesia alla gioiosa istituzione rivana. Ricordava di essere stato, da ragazzino, colpito dalla visione di una ragazza bionda dai grandi occhi chiari. Affacciata alla finestra se ne stava una “Bocca di Rosa”, di quelle celebrate da De Andrè. Metri più in su, sempre sulla viuzza del Marocco, c’era un deposito di bare. Era un luogo assai frequentato, non solo dai morti, ma dai ragazzini del rione che giocavano a nascondino, infilandosi nelle casse accatastate. C’era allora una diceria che circolava, forse all’oscuro dei titolari del negozio. Si riferiva a un traffico di dentiere. Tanto, ai morti a che servivano? E allora, perché non cederle, per pochi spiccioli, a qualche anziano che non si faceva problemi di titolarità? Che dire poi di quella volta che alcuni monelli “marochèri” rovesciarono in strada una bara che, malconcia e stra-usata, trovarono appoggiata al muro pronta per la discarica. C’era stata nella notte una nevicata con tanto di gelata e dunque… salirono a bordo del disastrato catafalco e lo lanciarono in discesa. Di solito usavano per slittare delle cassette di legno, ma quella volta andò diversamente. Giù a tutta birra. Le assi saltavano come proiettili di qua e di là sbatacchiando sui muri delle case. Via Marocco antica e strana, scrigno di storie che l’affetto di chi le ha raccontate, o le racconta, rende fantasiose e fantastiche. Ma, se vi va, potete lasciarvi rapire dalle immagini evocate e costruire un vostro film. Bello ambientarlo negli inverni di una volta, come succede nel ballo felliniano di Amarcord, con la neve che avvolge di candore una Riva magica: i monelli urlano scivolando nella bara sgangherata, Bocca di Rosa si affaccia e sorride. Perfino le dentiere di contrabbando battono i denti finti, un po’ per il freddo, molto per applaudire.
Vittorio Colombo